Caso Attilio Manca, Ciancimino: «Vietato parlare della latitanza di Provenzano»
Per il figlio del sindaco mafioso di Palermo, la mafia è riuscita a penetrare nel Lazio
Il vero problema è che «non si deve parlare della latitanza di Bernardo Provenzano», il boss di Cosa nostra arrestato nel 2006 dopo 40 anni di latitanza. È per questo motivo che «la verità sul caso Attilio Manca non è stata ancora cercata». A dichiararlo è Massimo Ciancimino, nel corso di un’intervista rilasciata a Daniele Camilli per Radiocoop76, la web radio di Confcooperative Viterbo.
Attilio Manca, originario di Barcellona Pozzo di Gotto, urologo di altissimo livello, prestava servizio presso l’ospedale di Belcolle. Il suo corpo senza vita fu trovato nel proprio appartamento in via Santa Maria della Grotticella, a Viterbo, il 12 febbraio 2004. Secondo la procura della Repubblica è stato ucciso da un’overdose di eroina mista a farmaci. Una conclusione sempre contestata dalla famiglia, secondo la quale, Attilio sarebbe stato costretto ad assistere Provenzano nel suo viaggio a Marsiglia, in Francia, per farsi operare di cancro alla prostata, e poi sarebbe stato fatto fuori perché diventato ormai uno scomodo testimone. Troppe, in effetti, sono le “strane coincidenze” nella morte del giovane luminare di urologia.
Ad alimentare i dubbi che il medico sia stato effettivamente ucciso da Cosa nostra, ci sono adesso anche le dichiarazioni di Ciancimino, testimone chiave nel processo sulla trattativa fra Stato e mafia, nonché figlio di quel Vito Ciancimino, sindaco di Palermo negli anni Settanta, morto nel novembre del 2002 dopo essere stato condannato nel 1992 per associazione mafiosa e corruzione. «Sia mio padre che Provenzano avevano un cancro alla prostata – racconta –. Mi ricordo come mio padre si era consultato con Provenzano e Provenzano aveva fatto lo stesso con mio padre. Gli aveva accennato qualcosa di qualche giovane medico, ma il mio lavoro con mio padre per sondare certi argomenti all’inizio era fatto per uno pseudo-spunto medico letterario. Tutto quello di cui non ho avuto conoscenza diretta non ho potuto approfondirlo, ma sicuramente c’è un aspetto inquietante. Manca era un bravo urologo. Provenzano cercava anche a Roma un bravo urologo».
Sul ruolo del boss nella tragica fine di Attilio, Ciancimino non conferma, né smentisce, ma sa per certo che Provenzano è stato a Roma dal ’99 al 2002. «Veniva a trovare mio padre quando era agli arresti domiciliari», spiega. E aggiunge: «Non si vuole parlare di questo caso non per una responsabilità specifica degli inquirenti. La verità è che non si deve parlare di tutto ciò che ruota intorno alla latitanza di Bernardo Provenzano. C’è un diktat che parte dalla Direzione nazionale antimafia, dalle istituzioni, dai servizi. Tutta la vicenda è avvolta da una fitta nebbia, voluta e pompata dagli apparati istituzionali. Tanti sono i misteri intorno a una figura come quella di Provenzano, che ha potuto muoversi per l’Italia, con garanzie e protezioni concordate all’epoca della trattativa Stato-mafia».
E proprio in merito alla trattativa, Ciancimino junior, per il quale «tutto il Lazio è stato penetrato dalla mafia», ha poi detto: «Trattare con la mafia vuol dire arrendersi. La mafia si batte. Trattando, lo Stato ha alzato bandiera bianca».