Pubblicato: Lun, 20 Gen , 2014

Caso Attilio Manca: chiesto il rinvio a giudizio per spaccio

Richiesta avanzata dal pm Petroselli nei confronti di Monica Mileti, unica indagata. Prescritta accusa di omicidio colposo per cessione di droga

Attilio-Manca-primaSi è svolta questa mattina, presso il Tribunale di Viterbo, l’udienza preliminare a carico di Monica Mileti: la cinquantenne romana, unica indagata per la morte di Attilio Manca e accusata di aver fornito la dose letale di eroina al giovane urologo barcellonese in servizio all’ospedale Belcolle di Viterbo e trovato morto nella sua casa alla Grotticella nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2004.

In poco meno di un’ora di requisitoria, il pm Renzo Petroselli ha ribadito quanto sostenuto da sempre e cioè, appunto, che Attilio sia morto per overdose di eroina mista a tranquillanti, cercando forse lui stesso quel tragico epilogo, e non ucciso da Cosa nostra perché diventato un testimone scomodo dopo aver operato nel 2003 a Marsiglia il boss Bernardo Provenzano, malato di cancro alla prostata. La procura di Viterbo ha infatti chiesto il proscioglimento dal reato di omicidio colposo per cessione di droga. Ipotesi caduta in prescrizione nel 2011. Per la Mileti rimane in piedi solamente l’ipotesi che abbia ceduto al medico l’eroina. Conclusione alla quale l’accusa è giunta alla luce di un incontro avvenuto tra i due il giorno prima della morte dell’urologo (a dimostrazione del quale ci sarebbe un’impronta palmare dell’imputata sull’auto di Attilio). Ed è proprio durante questo incontro che, secondo la Procura, la donna avrebbe dato a Manca la dose di sostanza stupefacente che ne causò poi la morte.

Soltanto indizi, quindi. Ma nessuna prova. Nessuna certezza, se non quella che in dieci anni la Procura di Viterbo ha condotto indagini a dir poco lacunose, in cui la verità non si è cercata e inseguita, ma occultata. Ennesimo esempio di questa inaudita superficialità è quanto emerso una decina di giorni fa dal confronto effettuato dal giornalista Paolo Fattori (e non dai magistrati che dovrebbero far luce sul caso) tra i fogli di presenza dell’ospedale di Viterbo e il verbale firmato dall’allora capo della Squadra mobile, Salvatore Gava. Nei primi, Attilio non risulta essere presente al Belcolle negli stessi giorni in cui Provenzano veniva operato in laparoscopia; al contrario, nella relazione del poliziotto, il medico risultava essere di turno. Non basterebbe forse già questo ai pm per passarsi una mano sulla coscienza? No, non basta. Come d’altronde non è bastato a far sorgere qualche dubbio il fatto che Attilio fu trovato privo di vita sul suo letto riverso in una pozza di sangue e con il setto nasale rotto e altri evidenti segni di colluttazione. Non sono bastati i due fori sul braccio sinistro, nonostante Attilio fosse un mancino puro, tanto da usare la sinistra anche in sala operatoria. Non sono bastate le due siringhe rinvenute nell’appartamento, alle quali sono stati diligentemente riposti i tappi salva-ago. Siringhe sulle quali, peraltro, non sono state trovate alcune impronte. E se tutto questo non basta, qualcos’altro invece non viene ritenuto necessario di ulteriori approfondimenti. Come le dichiarazioni del boss di Belmonte Mezzagno Francesco Pastoia, fedelissimo di Provenzano e trovato impiccato nella sua cella del carcere di Modena il 28 gennaio del 2005. Alcune intercettazioni di Pastoia furono rese pubbliche proprio nel gennaio di nove anni fa e in esse il mafioso raccontava che Provenzano era stato curato e operato a Marsiglia da un urologo siciliano nell’ottobre del 2003 per l’asportazione di un tumore alla prostata. Perché non sono mai stati eseguiti i dovuti accertamenti su tali dichiarazioni? Che Provenzano si sia sottoposto a quell’intervento in una clinica privata nei dintorni della cittadina francese, risulta dalle indagini effettuate dalla Procura di Palermo. Perché allora la Procura di Viterbo, certa che Attilio non sia in alcun modo entrato in contatto con il capomafia corleonese, nonostante il medico fosse fra i primi in Italia a praticare la prostatectomia laparoscopica, non ha mai cercato di capire chi fosse l’urologo siciliano a cui faceva riferimento Pastoia? Gli inquirenti non hanno nemmeno mai ritenuto necessario acquisire i tabulati telefonici del 2003, dai quali sarebbe potuta emergere la presenza di Attilio a Marsiglia in quei fatidici giorni, grazie soprattutto ad una telefonata che fece alla madre. La signora Angela ricorda infatti nitidamente di aver parlato con il figlio, mentre questi si trovava all’estero. Eppure di quella telefonata non vi è più traccia. E, infine, ostinatamente, non si è ritenuto necessario nemmeno approfondire il ruolo svolto dal cugino della vittima, Ugo Manca. Personaggio con precedenti penali legati anche alla criminalità organizzata barcellonese.

Ugo Manca era stato iscritto nel registro degli indagati insieme a Salvatore Fugazzotto, Lorenzo Mondello, Andrea Pirri e Angelo Porcino. Quest’ultimo già coinvolto in altri processi con accuse come estorsione con aggravante mafiosa. Tutti originari di Barcellona Pozzo di Gotto. Tranne la Mileti, anche lei finita insieme a loro tra gli indagati, per poi rimanere l’ultima imputata, visto che ad agosto del 2013 il gip Salvatore Fanti dispose l’archiviazione per i cinque barcellonesi. Alla colpevolezza della Mileti, comunque, i familiari di Attilio non hanno mai creduto. Come non hanno mai creduto che lui, giovane e brillante promessa della medicina italiana, fosse un tossicodipendente e che per giunta abbia deciso di togliersi la vita. Attilio non si è suicidato. Attilio è stato suicidato.

 

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