Berlusconi, il gran maestro della Comunicazione
«I miei figli dicono di sentirsi come le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler». E’ questa l’ultima battuta di un uomo che ha costruito, senza timore, la sua figura intorno a dichiarazioni e gesti spesso criticabili
Bisogna ammetterlo, Berlusconi non sarà il più grande statista degli ultimi 150 anni, ma sicuramente è un maestro in materia di Comunicazione. La Apple, Mourinho, Casaleggio e Obama messi insieme faticano a competere con l’uomo che ha stravolto il modo di fare politica in Italia, prima, e l’Italia intera in peggio, poi. Non ha fatto tutto da solo, sia chiaro, le colpe sono anche di chi glielo ha permesso, ma si deve anche ammettere che in Italia c’è un ante e un dopo Berlusconi. Però non diciamolo a voce troppo alta, l’accostamento mistico-religioso potrebbe irritarlo, lui è superiore. Ma non divaghiamo, stavamo parlando di comunicazione e della grande capacità di quest’uomo di sfruttarla a suo vantaggio. Tutto ebbe inizio con il cambiamento radicale che portò nella propaganda politica. Niente più manifesti con il simbolo del partito, ma video messaggi e milioni di facce sorridenti messe a fare arredo urbano. Poi sono arrivati nelle cassette della posta di tutti gli italiani, anche chi non lo aveva votato, gli opuscoli biografici sulla sua vita. Una ventina di pagine stampate a colori in ottima qualità, che lo disegnavano come uomo self-made, grande lavoratore e con sani principi, primo fra tutti la famiglia. Non importa se ci siano dubbi sul suo essersi realmente “fatto da solo” o se la stabilità familiare della sua famiglia vada in direzione opposta ai principi professati. Nella Comunicazione l’importante è far parlare di sé, bene o male che sia, coerentemente o meno, poco importa. Se condiamo il tutto con la diffusione di un immagine da uomo che non si piega, e qui il suo amico Putin gli avrà dato qualche dritta, e un po di vittimismo, il piatto è servito e pronto per essere dato in pasto alle folle che lo acclamano ad ogni uscita pubblica. Se chi lo osanna lo faccia volontariamente o è pagato per farlo, è un elemento che non conta ai fini della Comunicazione.
Vi ricordate quando fu aggredito a Milano con la statuetta del duomo? Lui incassato il colpo, ci tenne a far vedere a tutti la ferita rimanendo sul predellino della sua auto, incurante del dolore. Stoico e fiero come i migliori condottieri, perfettamente in linea con la figura di super uomo che si è creato in questi vent’anni. Ultimamente ha perso un po lo smalto degli anni passati, deve gestire un partito che non è più compatto sotto la sua guida, perchè anche con i lifting e i trapianti di capelli, gli anni passano per tutti e chi tra i suoi luogotenenti finora è stato in linea con il grande capo, incomincia a vedere un futuro senza la sua ingombrante presenza. Lui però non ci sta, e vuole combattere fino alla fine. Non perde occasione per un’intervista strappa lacrime sulle sue reti, un servizio sui giornali scandalistici per confessare il suo amore per la nuova compagna, serrare i ranghi e tuonare alle truppe riunite che è ancora lui il leader.
E’ in questo quadro che si inserisce l’ultima dichiarazione: «I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso». Ecco di nuovo la tecnica della vittima incompresa che suscita la simpatia dei fedelissimi e instaura il dubbio che possa avere ragione a coloro che ancora non hanno deciso se credergli o non sprecare il proprio udito per ascoltarlo. La dichiarazione è tratta dall’ultimo libro di Bruno Vespa, “Sale, zucchero e caffe”, nel quale Berlusconi risponde alle domande che il giornalista gli pone. Sono domande a cui vuole rispondere, non sono certo le dieci fatte da “la Repubblica”, e con le quali può rilanciare la sua figura di uomo perseguitato ma amante del suo Paese, purtroppo anche il nostro. «Sono italiano al 100 per cento. In Italia ho le mie radici. In Italia sono diventato quello che sono. Ho fatto qui l’imprenditore, l’uomo di sport, il leader politico. Questo – continua Berlusconi nel libro- è il mio paese, il paese che amo, il paese in cui ho tutto: la mia famiglia, i miei amici, le aziende, la mia casa, e dove ho avuto successo come studente, come imprenditore, come uomo di sport e come uomo di Stato. Non prendo neppure in considerazione la possibilità di lasciare l’Italia».
Lasciate ogni speranza voi che speravate di vederlo esiliato, non lascerà l’Italia e continuerà a far parlare di sè. Quello che possiamo fare, è imparare a non ascoltarlo per far perdere alla sua figura la centralità che ha occupato sinora. Parlarne, ricordare tutte le gaffe che ha fatto a livello internazionale non fa che alimentare la fronda di chi lo vede come un perseguitato che viene attaccato ad ogni dichiarazione. Che offenda milioni di ebrei barbaramente uccisi durante il nazismo o che metta in risalto l’abbondanza posteriore della Merkel, per loro poco importa. Non ci resta altro da fare che imparare a non dargli più spazio e incrociare le dita, nella speranza che anche gli altri intorno a noi facciano lo stesso.