Beppe Alfano, 21 anni dopo
Una giornata in ricordo del giornalista siciliano ucciso dalla mafia. La figlia Sonia: «Ricorderemo mio padre ma soprattutto, ancora una volta, chiederemo verità e giustizia»
I tanti misteri ancora da chiarire sui mandanti dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano e la condanna per mafia a 12 anni del boss barcellonese Rosario Pio Cattafi. Il punto sull’importante lavoro svolto in questi mesi dalla Commissione Antimafia del Parlamento Europeo, presieduta da Sonia Alfano. E un invito al governo italiano a potenziare realmente la Dia, il polo di eccellenza investigativa specializzata nel contrasto alle mafie e incaricata di vigilare contro il rischio di infiltrazioni dei clan negli appalti dell’Expo 2015 di Milano. Sono questi i temi scelti per ricordare mercoledì 8 gennaio, a Barcellona Pozzo di Gotto (prov. Messina), 21 anni dopo, l’assassinio di Beppe Alfano.
Una messa sarà celebrata nel Duomo di S. Maria Assunta, a Pozzo di Gotto, alle 15.30. Subito dopo, l’amministrazione comunale deporrà una corona in via Marconi, dove fu commesso il delitto. Poi, un confronto, alle 17, nella sala di rappresentanza del Comune, presso l’ex stazione ferroviaria (via Medaglia d’oro Stefano Cattafi), organizzato dall’Associazione Nazionale Familiari vittime di mafia e dal Comune di Barcellona.
Interverranno: l’eurodeputato Sonia Alfano, presidente della Crim (la Commissione speciale sul crimine organizzato, la corruzione e il riciclaggio di denaro del Parlamento Europeo); il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico; il direttore della Dia, Arturo De Felice; il procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita; il senatore Giuseppe Lumia; l’avvocato Fabio Repici e il sindaco di Barcellona, Maria Teresa Collica.
La messa, la deposizione della corona di fiori e il dibattito sono quindi gli appuntamenti pubblici per ricordare il cronista de La Sicilia ucciso a soli 47 anni per le proprie inchieste giornalistiche sulla mafia e sui suoi legami con il potere. Saranno presenti la moglie di Alfano, Mimma Barbaro, e i tre figli Sonia, Fulvio, Chicco.
«Ricorderemo mio padre ma soprattutto, ancora una volta, chiederemo verità e giustizia» dice Sonia Alfano. «Sebbene qualche passo avanti nelle indagini sia stato compiuto, noi stiamo ancora aspettando tutta la verità e lotteremo con tutte le nostre forze per averla. Non è un diritto soltanto nostro, ma di tutti coloro i quali credono nella giustizia. E’ un diritto di tutti i cittadini onesti».
Beppe Alfano, uno degli otto giornalisti uccisi in Sicilia dalla mafia, scriveva su La Sicilia. Prima di essere assassinato aveva raccontato la guerra tra cosche in corso nel Messinese, gli affari per i maxi-appalti per i lavori pubblici, gli scandali legati alle frodi di produttori agrumicoli che intascavano illegalmente i fondi europei. La massoneria, le collusioni con la criminalità. Un’ipotesi sul delitto l’ha fatta anche il collaboratore di giustizia Maurizio Avola, ex boss etneo: il giornalista è stato ucciso perché aveva scoperto che il boss catanese Nitto Santapaola, allora latitante, si nascondeva proprio a Barcellona Pozzo di Gotto, in via Trento, a pochi metri dalla sua abitazione.
«La rivelazione sulla presenza di Santapaola a Barcellona è un fatto» aggiunge Sonia Alfano. «Mio padre ne aveva parlato, in mia presenza, a una persona che riteneva fidata: il magistrato Olindo Canali. Evidentemente, dato che questo spunto non è stato preso subito in considerazione nelle indagini per il suo omicidio, non era l’amico che credeva».
Beppe Alfano aveva anche più volte fatto, durante alcune trasmissioni in tv, una denuncia profetica: l’isolamento a cui era stato sottoposto il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa era stata la causa del suo omicidio.
Qui di seguito l’indirizzo
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L’omicidio e la vicenda processuale
Per il delitto di Beppe Alfano, allo stato, ci sono due condannati con sentenza definitiva.
Il primo è Giuseppe Gullotti, condannato a 30 anni in qualità di organizzatore del delitto quale capo dell’ala militare della mafia di Barcellona. Gullotti, 54 anni, è stato riconosciuto colpevole dalla Corte di Cassazione dopo un lungo iter processuale. In primo grado, la Corte di Assise di Messina, il 15 maggio 1996, lo ha assolto. La Corte d’Assise di Appello di Messina, con la sentenza del 6 febbraio 1998, ha riformato il verdetto e ha condannato Gullotti a 30 anni di reclusione (la pena dell’ergastolo non era possibile perché il titolare dell’inchiesta, il pm Olindo Canali, non ha contestato l’aggravante della premeditazione). La Corte di Cassazione il 22 marzo 1999 ha rigettato il ricorso di Gullotti e la sua condanna è diventata irrevocabile.
Il secondo condannato in Cassazione, a 21 anni e 6 mesi, è Antonino Merlino, in qualità di esecutore materiale del delitto. E’ stato riconosciuto colpevole in primo grado e in appello.
La Cassazione, il 22 marzo 1999, ha annullato la condanna e disposto il rinvio per un nuovo giudizio davanti alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria, che il 19 aprile 2002 lo ha assolto. Nel febbraio 2004 la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione e disposto un nuovo giudizio. La Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria ha condannato Merlino a 21 anni e 6 mesi nell’aprile 2005. La Cassazione ha confermato il verdetto, rendendo la condanna definitiva, nell’aprile 2006.
I misteri aperti
E’ ancora da chiarire dove sia finita l’arma utilizzata per il delitto di Beppe Alfano. Nel corso delle indagini – tutti questi passaggi sono agli atti -, il pm Canali si è fatto consegnare una pistola calibro 22 (del tipo di quello utilizzato dal killer di Alfano) legittimamente posseduta da un imprenditore di Terme Vigliatore, Mario Imbesi. Canali ha restituito la pistola una settimana dopo senza disporre alcun accertamento tecnico: già il “sequestro” dell’arma – come fatto notare in sede processuale la parte civile della famiglia Alfano – è avvenuto con modalità anomale; ancor più anomala la mancata consulenza balistica.
Solo nel 2010, nell’ambito delle nuove indagini sui mandanti occulti dell’omicidio Alfano (condotte dalla Dda di Messina dal 2003 e, a seguito di vari rigetti di richieste di archiviazione, ancora in corso contro ignoti), è stato disposto un accertamento balistico che ha chiarito che l’arma di Imbesi non c’entrava niente col delitto Alfano. Un paio di anni fa, però, l’avvocato Repici (che rappresenta la parte civile Sonia Alfano) ha scoperto che l’imprenditore Imbesi, nel 1979, aveva ceduto un’arma identica a un industriale milanese amico del boss di Barcellona, Cattafi, e a quest’ultimo legato in affari e in attività illecite: Franco Mariani.
Negli anni Ottanta, Cattafi e Mariani erano stati indagati dal pm di Milano, Francesco Di Maggio, che aveva come uditore giudiziario proprio Olindo Canali.
Di quest’arma “gemella”, anche questo è stato scoperto dalle ultime indagini sul delitto Alfano, risulta che Imbesi avesse riferito a Canali subito dopo il “sequestro” della sua arma; Canali però, ancora una volta, non fece alcun accertamento. Grazie alle richieste di nuovi accertamenti avanzate dalla parte civile Alfano, si è scoperto così che nel 1999 è stata presentata da Mariani una denuncia di sparizione di quell’arma. Di fatto nessuno sa che fine abbia fatto il revolver di Mariani.
Resta anche da chiarire come mai nell’agenda dell’ex comandante del Ros dei carabinieri, Mario Mori, il 27 febbraio 1993 c’è traccia di una riunione nella sede del Ros di Roma: fra i presenti Mori, Di Maggio, Canali e alcuni appartenenti al Ros di Messina. Argomento: il delitto di Beppe Alfano. Di questa riunione non c’è traccia negli atti delle inchieste.