BASTA CONCESSIONI BALNEARI.
Gli italiani non hanno più i soldi per le vacanze.
Ricordate i film degli anni ’60? Famiglie semplici, spesso operai o impiegati, si riversavano sulle

spiagge con ceste di vimini, panini fatti in casa e bambini pronti a costruire castelli di sabbia. Erano vacanze vere, fatte di poco ma vissute con intensità. Si passavano giornate intere al mare, sotto il sole, condividendo ombrelloni, risate, sogni. Nascevano amicizie, amori estivi, ricordi che duravano una vita. Erano gli anni delle canzoni di Nico Fidenco, di abbronzatissima di Edoardo Vianello e di un’estate al mare di Giuny Russo.
Oggi, quell’Italia non esiste più. O meglio: c’è ancora, ma è rimasta fuori dai cancelli degli stabilimenti

balneari. Perché la spiaggia – bene pubblico per definizione – è diventata un lusso. Ombrelloni e lettini che costano come una notte in albergo. Accessi sbarrati, chilometri di costa occupati da strutture private, e la famosa “spiaggia libera” ridotta a lembi di sabbia compressi tra uno stabilimento e l’altro, spesso senza servizi, senza decoro, talvolta perfino inaccessibili.
Nel frattempo, lo Stato italiano incassa appena 100-115 milioni di euro l’anno dalle concessioni balneari. Una cifra irrisoria, se confrontata con il fatturato annuo degli stabilimenti, stimato attorno ai 2 miliardi di euro. Una sproporzione evidente, che racconta bene lo squilibrio tra interessi pubblici e privilegi privati.
Allora ci si chiede: perché le spiagge italiane sono ancora sostanzialmente privatizzate? Perché, nonostante le sentenze europee, le direttive Bolkestein, i richiami dell’Antitrust, non si riesce a mettere mano a un sistema di concessioni opaco, spesso tramandato da generazioni, con canoni ridicoli e profitti milionari?
La verità è che le concessioni balneari sono diventate un totem intoccabile, difeso da lobby potenti e da una politica che, di fronte a ogni tentativo di riforma, arretra. Ma oggi più che mai è necessario avere il coraggio di dire: basta. Basta rendite di posizione. Basta ostacoli all’accesso libero alle spiagge. Basta trasformare un diritto – quello di godere del mare – in un privilegio per pochi.

Perché gli italiani, nel frattempo, non hanno più i soldi per le vacanze. I dati parlano chiaro: milioni di famiglie rinunciano a partire, e chi ci riesce spesso deve accontentarsi di soluzioni economiche, tagliando su tutto. In questo contesto, che senso ha mantenere in piedi un sistema che arricchisce pochi e toglie spazio a tutti?
Servono: più spiagge libere, più equità, più trasparenza nelle concessioni. Non è solo una questione economica, ma di giustizia sociale e di dignità. Restituire il mare agli italiani significa restituire un pezzo della loro identità, della loro storia, del loro diritto alla felicità.
E magari, chissà, tornare a quell’Italia dei film in bianco e nero, dove bastava un telo sulla sabbia e un sorriso per sentirsi in vacanza davvero.