Pubblicato: Dom, 4 Mag , 2014

43 anni fa l’omicidio Scaglione: il primo magistrato ucciso dalla mafia

Ammazzato insieme all’agente Lo Russo perché aveva “osato” ostacolare i piani eversivi della criminalità organizzata

 

untitledASSASSINIO DEL PROCURATORE PIETRO SCAGLIONESono le 10:55 del 5 maggio 1971, quando la mafia compie quello che può considerarsi il primo omicidio eccellente compiuto in Sicilia dopo quello del sindaco di Palermo Emanuele Notarbatolo, nel 1893. Il primo, inoltre, ad avere come bersaglio un magistrato.

Il procuratore generale della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione, accompagnato dal suo autista, l’agente in custodia Antonino Lo Russo, era appena uscito dal cimitero dei Cappuccini dopo aver pregato, come di consuetudine, sulla tomba della moglie, quando, mentre percorrevano via dei Cipressi a bordo di una Fiat 1500 nera, vengono affiancati da un’altra automobile, dalla quale scende il commando di fuoco composto da due o tre persone armate di pistole calibro 9 e 38 special che scarica su di loro la furia omicida.

Immediati furono i tentativi di gettare fango sulla figura del magistrato, uomo invece assolutamente integerrimo e dedito anche ad opere di volontariato, come l’assistenza alle famiglie dei detenuti e ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un asilo nido. Ci fu infatti chi insinuò che il dottor Scaglione avesse addirittura favorito la fuga e la latitanza del boss mafioso Luciano Leggio. Si tratta delle classiche tecniche di delegittimazione, volte a demolire la figura di chi, al contrario, ha sempre avuto un comportamento coerente e rigoroso nella lotta alla criminalità. Calunnie e nient’altro, poi smentite categoricamente dalle indagini successive. Fu Tommaso Buscetta a chiarire nel 1984 le motivazioni dell’omicidio del procuratore che lui stesso, parlando con il giudice Giovanni Falcone, definì “uno spietato persecutore della mafia”. L’assassinio, disse, era stato organizzato ed eseguito da Luciano Leggio e dal suo vice Salvatore Riina, con l’approvazione di Pippo Calò. Il giorno dopo l’omicidio, Scaglione avrebbe dovuto testimoniare nell’ambito delle indagini sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, che aveva incontrato pochi giorni prima della sparizione. Nel 1987 è un altro collaboratore a parlare. Si tratta di Antonino Calderone, stando alle cui dichiarazioni il delitto Scaglione faceva parte di un piano eversivo progettato dalla mafia in seguito al fallito Golpe Borghese, nel quale si inseriva anche la scomparsa e l’assassinio di De Mauro. Nel 1992 è ancora una volta Buscetta a parlare e, confermando le dichiarazioni di Calderone, aggiunse che “Luciano Leggio stabilì di sua volontà di creare un clima di tensione nell’ambiente politico per preparare il colpo di Stato (il Golpe Borghese, ndr). Ognuno prese le sue mosse su quale fosse il politico da colpire. […] L’obiettivo di Luciano Leggio fu il procuratore Scaglione”. Tuttavia, già un anno prima, il giudice istruttore di Genova Dino Di Mattei, che si occupava delle indagini, prosciolse tutti gli imputati (Gaetano Fidanzati, Gerlando Alberti e il figlio, Salvatore Riina, Luciano Leggio, Pippo Calò, Francesco Scaglione, Pietro D’Accardio e Francesco Russo) per non aver commesso il fatto. In particolare, si legge nella sentenza, “non è stato possibile individuare nei confronti di questi imputati gli elementi convincenti di accusa, come ad esempio il rinvenimento delle armi usate o testimonianze dirette, che giustifichino il passaggio alla fase dibattimentale”.

Anche se ancora oggi, a distanza di oltre quarant’anni, non si conoscono né gli esecutori del duplice omicidio né i mandanti, una sola cosa è certa e cioè che, come è stato evidenziato in sede giudiziaria, Scaglione è stato ucciso per la sua attività svolta “in modo specchiato” e inflessibile, soprattutto nella repressione della mafia.

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