Berlusconi: vent’anni fa la “discesa in campo”
Il 26 gennaio 1994 Berlusconi annunciava la sua discesa in campo, iniziavano la Seconda Repubblica e il berlusconismo
“L’Italia è il paese che amo”, è con queste parole che Silvio Berlusconi, il 26 gennaio 1994, inizia il celebre discorso della “discesa in campo” con il quale annunciava la volontà di entrare in politica fondando Forza Italia. Il video venne mandato in onda a reti unificate sui canali Fininvest e già per i modi era rivoluzionario.
La Prima Repubblica stava crollando ma i politici del tempo comunicavano come se fossimo ancora negli anni ‘60. Il messaggio tv del tycoon Berlusconi, solenne come fosse già presidente, arrivò come un terremoto nell’imbalsamato mondo della politica del 1994. Erano in molti che consideravano quella di Berlusconi una trovata poco più che pubblicitaria destinata a fallire alle elezioni. Invece quell’imprenditore milanese andò al governo, potendo contare sulle sedi di Publitalia trasformatesi in sedi di partito e su una strana doppia alleanza, al settentrione con l’allora arrembante Lega Nord di Bossi e al sud con la neonata Alleanza Nazionale di Fini. Tutto ciò, unito all’uso delle sue televisioni, gli assicurò, con il 42,8%, la vittoria nelle elezioni politiche del marzo 1994 sconfiggendo la coalizione progressista guidata da Occhetto, grande favorita della vigilia e che fu definita come “gioiosa macchina da guerra”.
Riassumere vent’anni non è mai facile ma sono due le cose che sicuramente verranno ricordate degli anni del berlusconismo. Per primo la personalizzazione della politica degenerata in leaderismo e in vero e proprio culto della personalità, basta ricordare l’inno “Menomale che Silvio c’è” oppure “L’esercito di Silvio” per non parlare del partito azienda in cui lui, il vertice, come fosse un manager, decide tutto senza confrontarsi con gli altri. Secondo punto è lo scontro continuo con la magistratura. In questi anni Berlusconi è stato indagato svariate volte ma si è sempre difeso dai processi usando il suo potere. Le numerose leggi ad personam, i tentativi di riforma punitivi e le campagne mediatiche l’hanno salvato dalle condanne a cui sarebbe andato incontro in una situazione normale. Non solo è sfuggito alla giustizia ma ne ha tratto elettoralmente vantaggio alimentando il mito della persecuzione giudiziaria arrivando a definire, acclamato dai suoi, il mafioso e suo ex-stalliere Mangano “eroe” (perché non avrebbe ceduto, nella ricostruzione berlusconiana, ai tentativi dei magistrati di fargli confessare il falso per incastrare il Cavaliere) oppure bollando i giudici come “matti e antropologicamente diversi”.
Dopo due decenni ancora non può si mettere la parola fine al capitolo del berlusconismo. È chiaro che la decadenza non evitata, la fronda interna dei suoi fedelissimi, l’impossibilità di difendersi, come faceva una volta, dai processi potrebbero essere i segni precursori della fine della sua epoca ma, al contempo, l’ancora forte consenso elettorale e l’enorme potere economico e mediatico che gli consente di ricattare i suoi avversari (basta citare, da ultimo, il finto scandalo di Montecarlo usato contro Fini) ci dicono che Berlusconi è ancora al centro del campo. Del resto sul sito del nuovo vecchio partito Forza Italia c’è in bella evidenza la scritta “i primi 20 anni con Silvio”. Come se ce ne dovessero essere altri venti, una promessa (o forse minaccia) che, viste le attuali condizioni, solo l’anagrafe ci dice essere falsa.