16 anni fa si suicidava Justin Fashanu, il primo calciatore a fare coming out
Fashanu dichiarò la propria omosessualità nel 1990 ma fu emarginato. Cadde in depressione fino al triste epilogo del 2 maggio 1998
Justin Fashanu nacque a Londra il 19 febbraio 1961 da una famiglia della media borghesia, il padre era un avvocato di origini nigeriane, dopo il divorzio dei genitori fu mandato a vivere, insieme al fratello, in una casa alloggio e quindi poi cresciuto in una famiglia adottiva.
Il suo esordio nel calcio professionistico è del 1979 con il Norwich City. Con i gialloverdi rimarrà tre anni facendosi notare per le sue buone doti e per avere realizzato 32 gol, prestazioni che gli valsero il trasferimento al Nottingham Forrest. Il piccolo team inglese, sotto la guida di Brian Clough, era riuscito nel giro di cinque anni, partendo dai bassifondi della classifica, ad arrivare a vincere due Coppe Campioni, un campionato, la Coppa di Lega e la Supercoppa europea. Quando arriva Fashanu, nel 1981-82, il club non è più all’apice ma era pur sempre un’ottima squadra. Fashanu sembrava essere all’inizio di un’ottima carriera, era pure diventato il primo calciatore di colore da un milione di sterline.
Il baratro però è dietro l’angolo. Arrivato a Nottingham ebbe infatti un duro scontro con l’allenatore. Clough non gradiva, per usare un eufemismo, le voci che circolavano sulle frequentazioni gay del calciatore, arrivandolo a definire, a quanto pare, “fottuto finocchio”. Complice anche un infortunio al ginocchio la carriera di Fashanu nel Forrest dura solo un anno e da quel momento inizierà un pellegrinaggio che lo porterà a cambiare dieci squadre in dieci anni tra Australia, Inghilterra e Stati Uniti. Sempre emarginato, sull’orlo della depressione e con scadenti risultati sul campo Fashanu vive evidentemente un certo disagio interno finché nel 1990 non decide di fare coming outing dichiarando al mondo la propria omosessualità, fu il primo calciatore in attività e di una certa fama a farlo.
Purtroppo le cose per lui non migliorarono, anzi. Non solo non trovò nessun appoggio e sponda dal mondo del calcio ma fu emarginato anche dalla sua comunità. Un portavoce della comunità nera britannica dichiarò: «un affronto alla comunità nera, un danno d’immagine. Patetico e imperdonabile». Anche il fratello lo ripudiò.
Trasferitosi negli Stati Uniti, sembrò trovare un’apparente pace ma nel 1998 vi fu il triste epilogo. Accusato di stupro da un giovane diciasettenne del Maryland, complice una depressione che lo accompagnava da anni, si suicidò impiccandosi, il 2 maggio, in un garage di un sobborgo di Londra dove era scappato per sfuggire alle indagini in USA. Lasciò un biglietto con scritto: “Sperò che il Gesù che amo mi accolga: troverò la pace, infine”.
Il processo, data la morte dell’imputato, non fu mai celebrato ma la polizia del Maryland aveva già archiviato le indagini per mancanza di prove e per le contraddizioni in cui era caduta la presunta vittima. Molto probabilmente, quindi, era innocente.
A 16 anni dalla morte di Justin Fashanu la battaglia contro l’omofobia nel calcio non ha fatto molti passi avanti. Anche se pubblicamente quasi nessuno si azzarda a dire che chi è omosessuale deve rimanere in incognito (ma qualcuno, ad esempio Cassano, lo ha affermato) in realtà nessun giocatore in attività ha fatto coming out, dimostrazione che nel segreto dello spogliatoio e nei rapporti con i tifosi la questione dell’omosessualità è un tabù che ancora non si riesce a sconfiggere. E anche quando a dichiararsi gay è un giocatore di fama mondiale, come Hitzlsperger, lo fa dopo essersi ritirato e non prima.