Fare luce su omicidio Mico Geraci: Rosy Bindi accoglie l’appello di Pif
Sindacalista ucciso per aver detto No alla mafia. Senatore Lumia: «Con lui ho condiviso importante battaglia per la legalità»
Sono da poco passate le 20 dell’8 ottobre 1998, quando cinque colpi di fucile a canne mozze mettono fine alla vita di Mico Geraci davanti al portone della sua casa di Caccamo e sotto gli occhi terrorizzati del figlio Giovanni, allora diciassettenne. Fu chiara sin da subito la matrice mafiosa dell’omicidio: sindacalista della Uil, ex assessore comunale e consigliere provinciale nelle fila del Ppi dal 1994 al ’98, Geraci aveva ricevuto nei mesi precedenti numerose minacce, come i crisantemi fatti trovare davanti all’abitazione o l’automobile incendiata. Dava fastidio, Mico, diventando ormai un politico scomodo da eliminare. Faceva nomi e cognomi, lanciava pubblicamente pesanti invettive contro il sistema degli appalti, aveva persino denunciato la moglie del capo-mandamento di Caccamo, Nino “Manuzza” Giuffrè, all’epoca latitante. Quattro anni dopo il delitto preventivo del sindacalista (Geraci avrebbe dovuto concorrere con l’Ulivo alla carica di sindaco, con ottime possibilità di essere eletto), sarà proprio il boss nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia a tentare di fare luce sulla vicenda con le sue dichiarazioni, spingendo i magistrati di Palermo a riesaminare il caso che era stato archiviato.
Secondo Giuffrè la condanna a morte sarebbe stata decisa perché Geraci aveva girato le spalle alla vecchia Dc, avvicinandosi al centrosinistra, in particolare al deputato diessino Beppe Lumia. Ad assassinarlo sarebbe stato un sicario a volto scoperto affiliato alla famiglia di Belmonte Mezzagno, ma l’agguato sarebbe avvenuto senza il consenso del “pentito” e peraltro vicino alla sua abitazione, progettato da Bernardo Provenzano e Benedetto Spera. Una sorta di “segnale” che i due boss avevano voluto mandare a Giuffrè, che per ben due volte si era opposto all’omicidio. Nonostante le varie ipotesi fatte dagli inquirenti e i diversi particolari sul delitto rivelati dal collaboratore, tali da far riaprire le indagini iscrivendo nel registro degli indagati sia Provenzano che Spera, non si è mai arrivati a giudizio e ancora oggi la morte del sindacalista rimane senza colpevoli. Da allora, infatti, le indagini sono ad un punto fermo.
Anche se sono trascorsi 16 lunghi anni, i familiari di Mico Geraci non hanno certo perso la speranza di poter conoscere la verità e ottenere giustizia. La storia di quest’uomo coraggioso, che a testa alta ha saputo dire di No alla mafia, è stata raccontata da Pier Francesco Diliberto, in arte Pif, all’interno del suo programma “Il Testimone”. Il popolare conduttore si è recato a Caccamo due volte nell’arco di un anno e, la puntata andata in onda su Mtv lo scorso 27 maggio, si chiudeva con un appello alla presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi, affinché si riaprisse il caso sull’omicidio Geraci e dare finalmente quelle risposte tanto attese.
L’appello è stato accolto e a darne notizia è il senatore Lumia, componente della Commissione Antimafia. «Ha fatto bene la presidente della Commissione Nazionale Antimafia, Rosy Bindi, a raccogliere l’appello di Pif per fare piena luce sull’omicidio di Mico Geraci. Un uomo a cui sono stato e sono molto legato, perché con lui ho condiviso un’importante battaglia di legalità e sviluppo per il territorio di Caccamo e per la Sicilia. La Commissione Antimafia – aggiunge –, grazie ai suoi speciali poteri di inchiesta e di indagine, potrà dare un prezioso contributo per la ricerca della verità sia sul piano storico che giudiziario. Mico – conclude Lumia – è stato un sindacalista ed un amministratore valoroso che ha avuto il coraggio di sfidare Cosa nostra in uno dei territori a più alta densità mafiosa della Sicilia. Lo ha fatto per liberare la Sicilia dall’ingiustizia e dall’oppressione».