Villa Valguarnera. I vicini? Le famiglie mafiose
La storica residenza bagherese dei Principi Alliata oggetto di un’interrogazione di M5S per sottrarla all’abbandono
di Matilde Geraci
I vincoli di inedificabilità assoluta, imposti dal 1913, non hanno impedito che, all’interno di un parco monumentale, sorgesse un intero quartiere abusivo, con tanto di villette confiscate ma abitate da indisturbati mafiosi. Ci troviamo a Bagheria, alle porte di Palermo, e precisamente nell’area attorno a Villa Valguarnera, di proprietà dei principi Alliata di Villafranca.
Il senatore del Movimento 5 Stelle, Francesco Campanella, ha presentato nei giorni scorsi un’interrogazione parlamentare, sottoscritta da altri colleghi del gruppo, per chiedere che vengano al più presto impiegate delle misure con lo scopo di tutelare il parco di Villa Valguarnera dall’abusivismo edilizio e dalla criminalità organizzata, affinché venga salvaguardato il patrimonio ambientale, paesaggistico, storico e culturale dell’intera città di Bagheria.
L’interrogazione, approdata in Parlamento, ripercorre la complessa attività d’indagine coordinata dal Procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, Leonardo Agueci, dalla quale si è appreso che nella lista degli arresti effettuati nel 2008 dal Ros e dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo, compare Gino Di Salvo, considerato il nuovo reggente del mandamento di Bagheria, nonché vecchia conoscenza delle Forze dell’Ordine: è, infatti, uno dei tanti favoreggiatori della latitanza di Bernardo Provenzano e negli anni Novanta avrebbe ospitato il boss, permettendogli di sottoporsi a visite mediche per i suoi disturbi alla prostata. Proprio per aver condotto una continuativa attività di copertura e agevolazione della latitanza di Provenzano, Di Salvo – già sotto sorveglianza speciale sin dal 1975 – fu sottoposto a custodia cautelare e a reclusione, con l’accusa di partecipazione ad associazione mafiosa.
L’altro proprietario “eccellente” di una delle villette è Sergio Flamia, considerato il delfino di Di Salvo e finito anche lui in manette in seguito al maxi blitz antimafia di cinque anni fa. All’epoca della cosiddetta operazione “Perseo”, gli veniva contestato il solo favoreggiamento per avere messo a disposizione un suo immobile per ospitare i summit dei boss di Bagheria. Successivamente sarebbe diventato tesoriere della cosca e braccio destro del padrino bagherese.
La vicenda del quartiere abusivo abitato da mafiosi, dotato di strade asfaltate, complete addirittura di infrastrutture e case allacciate ai servizi, non è certo una novità. Già nei primi anni Ottanta, il neo consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, Rocco Chinnici, poco tempo prima che venisse fatto saltare in aria con un’autobomba aveva rinviato a giudizio numerosi politici (tra i quali ex sindaci ed ex assessori) e proprietari terrieri di Bagheria, in seguito alle dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia. Peccato, però, che lo Stato concesse loro l’amnistia. Negli anni Novanta è stata la sezione bagherese di Legambiente a sollecitare l’apertura di una mega inchiesta sul degrado di Villa Valguarnera e sulle infiltrazioni mafiose. Ma gli “intoccabili” uomini d’onore di Provenzano riuscirono anche quella volta a cavarsela.
Oggi è il Movimento 5 Stelle, con un’interrogazione parlamentare, a cui è seguito un analogo atto presentato all’Ars dal deputato Salvatore Siragusa, a farsi carico di questa battaglia e chiedere ancora una volta al Governo la tutela del complesso monumentale risalente al periodo dell’ex Regno delle Due Sicilie, decantato da Goethe e Stendhal, oggetto d’ispirazione per i più importanti architetti del ‘700 e adesso solo un ricordo sbiadito di quella bellezza, ampiamente violentata negli anni, che rischia di essere distrutta del tutto. Il M5S auspica, insieme agli attuali proprietari di Villa Valguarnera, che le Istituzioni e le amministrazioni competenti si attivino al fine di verificare i fatti e le responsabilità connesse alle realizzazioni edilizie e al mancato smantellamento delle opere realizzate abusivamente; a cominciare dal primo lotto del parco espropriato negli anni Settanta, dove venne costruita la scuola elementare intitolata ad Antonio Gramsci, che oggi è soltanto un rudere fatiscente abbandonato nel degrado.
In particolare, i senatori del Movimento 5 Stelle chiedono al Governo in carica di procedere urgentemente con ulteriori accertamenti, «al fine di dissipare ogni dubbio circa la correttezza delle attività svolte dagli organi deputati al controllo e alla tutela del territorio e dei beni culturali, sia in fase preventiva che in fase repressiva e sanzionatoria, a tutela di uno dei più importanti esempi superstiti del Settecento siciliano, [.] e consentire, quindi, ai legittimi proprietari di poter realizzare le opere di recupero e di manutenzione e per garantire il rispetto della legge vigente».
Va detto, tra le altre cose, che dalle indagini della Dda risulta che le abitazioni di Gino Di Salvo e di Sergio Flamia, realizzate abusivamente all’interno del parco vincolato, malgrado il provvedimento di confisca della sezione misure di prevenzione del 2005, sono rimaste intatte, nonché presumibilmente sanate e tuttora abitate dai proprietari.
Già nel 1997, il confidente e poi collaboratore di giustizia, Angelo Siino, durante i colloqui con i carabinieri, parlava della «mega villa» di Di Salvo, situata in via Vallone De Spuches: «C’erano delle stalle per i cavalli e dei camion e macchine per movimento terra nella quale in diverse occasioni incontrò Bernardo Provenzano». Un altro confidente dei carabinieri, Luigi Ilardo, aveva parlato anche lui della stessa villa: «Bellissima, stile antico, dove si riunivano [.] e dove Provenzano viveva tranquillamente con la famiglia la sua latitanza».
C’è poi la “questione di via Sofocle”: una strada fatta costruire, col beneplacito del Comune, appositamente per consentire l’accesso ai pregiudicati e poter parcheggiare i loro mezzi (compresi i camion spurghi) e di adibirne aree a discarica, anche di rifiuti speciali. In tutti questi anni, non sono mancate naturalmente le denunce – oltre un centinaio – da parte dei principi Alliata, che, oltre agli abusi edilizi del patrimonio culturale dall’inestimabile valore, hanno anche subìto numerose aggressioni e minacce. «Quando mia figlia aveva appena due anni, le hanno decapitato tutte le bambole; mi hanno fatto ritrovare i miei cani impiccati agli alberi di limoni e altri lasciati agonizzanti; quotidiani, sono i tentativi di effrazioni e aggressioni alle mura di cinta – denuncia Vittoria Alliata -. Viviamo con la paura che possano entrare di notte dalla finestra e farci del male». «I politici non sono mai stati dalla nostra parte. Sono sempre stati deboli con i forti e forti con i deboli – dichiara ancora la principessa, nel corso di una conferenza stampa tenutasi nei locali di Villa Valguarnera, nel tentativo di risvegliare l’attenzione delle autorità competenti sulla vicenda -. Le Istituzioni non hanno mai raccolto il mio invito a tutelare questo bene storico, una volta cenacolo di pensatori, poeti e artisti, tempio di un’Arcadia rivoluzionaria. Oggi, invece, l’intera struttura è a rischio crollo. La preziosa cappella barocca è già completamente a pezzi a causa di un intervento della Soprintendenza di Palermo. Il degrado è da imputare esclusivamente a chi ci ha impedito il restauro, nonostante le numerose sentenze civili e penali che hanno confermato l’urgenza degli interventi. Abbiamo come la percezione che la tutela del monumento possa costituire un danno per la popolazione, ma ora sappiamo cosa si cela dietro l’ostruzionismo sistematico che subiamo, quale sia il reale motivo che non ci ha consentito di intervenire per evitare che ciò accadesse».
Come se non bastasse, i proprietari della Villa hanno a loro carico due denunce e una diffida da parte del Comune di Bagheria. Una situazione esasperante, che ha portato, nei primi mesi del 2011, l’ultranovantenne principe Francesco Alliata di Valguarnera a dichiararsi “prigioniero politico della burocrazia”, che di fatto – come si legge anche nell’interrogazione parlamentare – «non lo avrebbe messo nelle condizioni di realizzare a proprie spese gli interventi di ordinaria manutenzione della sua casa e lo ha imputato in un procedimento penale per non aver “impedito i crolli”. Procedimento dal quale è stato assolto con ampia formula, essendone stata attribuita ad altri la responsabilità». Nel contempo è proseguita la costruzione di edifici abusivi, con conseguente sradicamento di alberi secolari, malgrado i vincoli di inedificabilità assoluta, recepiti anche dal Piano Regolatore Generale di Bagheria.
L’unica diffida da parte del Comune sarebbe stata emessa nei confronti di un cavallo dell’azienda agricola Valguarnera, “sorpreso” a pascolare nell’agro storico: una presenza incompatibile con il vincolo monumentale. «È assurdo – afferma il senatore Campanella – che una giumenta non possa brucare indisturbata nel parco, mentre non si faccia nessun intervento per impedire lo scempio dovuto alle infiltrazioni mafiose. Si dice che il sonno della ragione genera mostri, ma il sonno dei cittadini genera malgoverno. Dobbiamo prendere consapevolezza del valore di questo bene, perché un patrimonio salvato è un patrimonio di tutti e un popolo senza passato, in qualche modo, rinuncia anche al proprio futuro».
Gli fa eco l’on. Siragusa: «Sembra essere scomparso il senso di civiltà, di condivisione, del problema comune. Dov’è l’indignazione? Dobbiamo cominciare a pensare come comunità. Solo così potremo garantire un futuro migliore ai nostri figli». Intanto, il sindaco di Bagheria, Vincenzo Lo Meo, conferma che «ci sono dei procedimenti in corso per accertare eventuali irregolarità delle autorizzazioni sanitarie concesse alle trenta abitazioni sorte all’interno del parco monumentale (permessi regolarmente rilasciati dall’ufficio tecnico del Comune nel 1994, anno in cui, guarda caso, questi veniva commissariato per attività mafiosa, insieme ai Comuni di Caccamo e Termini Imerese, ndr). Nel caso in cui queste dovessero risultare illecite, molto probabilmente gli edifici non verranno demoliti, ma acquisiti dal patrimonio».
Il 7 novembre del 2006, il Corriere della Sera pubblicava un articolo dal titolo “Il limite ignorato tra lecito e illecito”, a firma di Dacia Maraini, discendente per parte di madre della famiglia Alliata, e che alla fine della Seconda Guerra Mondiale visse con i genitori proprio a Villa Valguarnera. In esso la scrittrice si chiedeva: «Tutti [siamo] in qualche modo colpevoli di non fare abbastanza, e questo è certamente vero. Ma la radice dell’arbitrio dove nasce e dove va a conficcarsi? In quale colpa personale o collettiva?».
E’, questa, la conclusione della breve dissertazione che perfettamente si adatta alla vicenda qui trattata, ancor più citando il poeta Sofocle, al quale – forse per uno strano quanto paradossale caso del destino – è dedicata la “strada dei mafiosi”: «La città di Tebe si è ammalata perché ha chiuso gli occhi, perché non ha saputo né voluto vedere la responsabilità di chi l’ha governata per decenni, diventando di fatto connivente con un modo di vita che disprezza la legalità, denigra lo Stato, umilia la verità».