Turchia, testimone oculare. Ecco il diario di un italiano di parte
Fabio racconta: la polizia non si fa vedere di giorno, ma la sera partono le cariche
Ovunque è Taksim, ovunque è protesta.
E’ questo il coro che si leva per le strade della Turchia affollate in questi giorni da un gruppo eterogeneo formato da donne con in braccio i propri figli, uomini di qualunque età, anziani, studenti, lavoratori. Piazza Taksim, luogo storico della democrazia turca, punto di partenza dei principali cortei è diventata in questa ultima settimana il centro più rappresentativo della protesta tanto che in tutto il Paese i nomi delle piazze sono state cancellate con lo spray e ribattezzate “Taksim”. La Turchia si stringe intorno a questa piazza di Instabul, vicina a Gezi Park dove tutto è cominciato il 28 maggio quando alcune ruspe si sono dirette verso uno dei parchi storici di Istanbul per far spazio alla costruzione di un centro commerciale ed una moschea. Ad impedirlo sono stati i cittadini stessi, che si sono opposti alla distruzione dell’unico polmone verde rimasto in una città massicciamente urbanizzata negli ultimi decenni. Una protesta pacifica, una resistenza passiva fatta di tende, alberi piantati e musica. Dal governo preseduto da Erdoğan è partito l’ordine dello sgombero che si è abbattuto sui manifestanti con la forza e il volto poco rassicurante e violento della polizia che ha bruciato le tende e fatto uso di gas lacrimogeni e spray al peperoncino. E’ bastato poco tempo e qualche passo perché la protesta, e con essa gli scontri, si spostasse nella vicina piazza Taksim dove i cittadini di Istanbul si sono ritrovati compatti e uniti contro l’ennesima azione di un governo che in nome del progresso, o presunto tale, ha superato il limite. Si potrebbe sintetizzare in questo modo la rivolta che da Istanbul si è sparsa in tutta la Turchia ma sarebbe un riassunto riduttivo, incompleto e soprattutto superficiale. Per questo ho chiesto a Fabio Perrone di aiutarmi a capire i reali motivi di questa rivolta che vede ogni giorno sempre più persone stringersi intorno al popolo di Gezi Park. Fabio si trova in Erasmus a Smirne, in turco Izmir, la terza città della Turchia con una popolazione superiore ai tre milioni di abitanti. “Smirne è una città con un’impronta decisamente occidentale, molto tollerante, per strada è difficile incontrare donne con il velo, ho visto davvero poche ragazze indossarlo. E’ stata per secoli greca, intorno all’anno mille è stata sotto Venezia quindi è storicamente multiculturale. E’ così famosa per la sua tolleranza da essere chiamata ” l’infedele Smirne ” proprio perché è la città turca, anche più di Istanbul, dove sono presenti grosse minoranza ebraiche, ortodosse e cattoliche.”
La miccia del sabato sera.
Una tolleranza che la polizia non ha più mostrato quando sabato sera la protesta è esplosa ad Alsancak, quartiere centralissimo e cuore economico di Smirne, ritrovo per i tanti giovani in cerca di divertimento. “La protesta è esplosa violentissima sabato sera – mi racconta Fabio- i ragazzi che uscivano dalle discoteche si sono ritrovati in mezzo alla guerriglia. C’erano ragazze con i tacchi che venivano malmenate. La polizia per disperdere la folla ha usato gli idranti spingendo alcune persone in mare”. Quella che mi descrive Fabio durante la telefonata è una polizia violenta, con poliziotti in borghese che si infiltrano tra i manifestanti per creare disordine, che si aggira tra i manifestanti per coglierli di sorpresa e arrestarli mentre stanno fotografando o riprendendo la rivolta, che intimorisce chi viene condotto in questura.
“Questa notte
la polizia ha attaccato in maniera più moderata, cercando solo di disperdere la folla con i lacrimogeni. Sembra che adesso lascino fare durante il giorno per evitare di essere visti alla luce del giorno e di manganellare nella folla anche anziani, donne o bambini. Aspettano la sera per fare le cariche. Casi clamorosi di violenza non ce ne sono stati mentre molti sono stati gli arresti.
Un dato da sottolineare è che gran parte dei poliziotti si mischiano in borghese tra la folla, ti prendono per le braccia e ti portano in caserma dove ti intimoriscono per tutta la notte con spinte, calcetti, ti mettono faccia al muro, vogliono sfiancarti e farti desistere dalla protesta. Ho assistito a scene in cui chi aveva una fotocamera ha prima ricevuto un pungo poi gli veniva presa la fotocamera e la buttavano in mare”.
Fabio mi parla di una polizia di regime che non protegge più gli interessi del cittadino come nel caso del suo amico Matthew, uno studente americano che si trova a Smirne da settembre. La storia di Matthew sembra simile a quella del film “Fuga di mezzanotte” ma invece è quello che accade in questi giorni in Turchia. Dopo aver scortato una sua amica a casa, Matthew si rende conto di essere seguito.
Cerca di seminare il suo pedinatore svoltando più volte ma la persona che lo segue è sempre dietro di lui, molto vicino. Impaurito Matthew inizia a correre, è un ragazzo sportivo e corre veloce. L’uomo che lo seguiva inizia a corrergli dietro e all’inseguimento del ragazzo si aggiungo altre due persone. Vedendo un auto della polizia Matthew pensa di essere al sicuro e si piomba den
tro l’auto chiedendo aiuto ma con sua somma sorpresa gli inseguitori una volta giunti alla volante aprono le portiere e si seggono insieme a lui. Poliziotti in borghese. Lo portano in questura, così, senza un vero motivo.
Gli sequestrano la macchina fotografica e gli intimano di consegnare i soldi che ha con sé. Matthew verrà intimidito fino a quando la ragazza che aveva scortato a casa, venuta a sapere che il ragazzo era stato fermato, si è presentata in questura insieme al fratello e vantando una parentela all’interno della polizia sono riusciti a far rilasciare Matthew. Le sirene delle ambulanze che fanno da sottofondo continuo alle parole di Fabio fanno capire quanto la situazione a Smirne sia concitata.
Sebbene gli episodi più gravi si siano verificati a Ankara ed Istanbul, anche a Smirne una persona è rimasta uccisa negli scontri. Il numero dei morti in questi giorni di scontri non è ancora chiaro. Trapelano notizie che parlano di una decina di morti che non ricevono conferma perché dalle autorità tutto tace.
Il governo turco ha parlato di numeri solo nel primo weekend di scontri tramite il Ministro degli Interi che ha reso noti solo i numeri dei feriti affermando che se ne contano 160 tra le forze dell’ordine e 60 tra i manifestanti. Dato che lo stesso governo turco ha parlato di reazione morbida della polizia appare chiaro come si possa fare poco affidamento alle dichiarazioni istituzionali. Le televisioni non mettono in primo piano le notizie degli scontri, non parlano di morti, mostrano solo piazze semideserte e assecondano la versione del governo secondo la quale la rivolta è portata avanti da un piccolo gruppo di violenti che cerca di creare il caos. “In Turchia il governo è finto, c’è un regime che controlla l’informazione e ha il potere di fare pressioni perché si blocchino temporaneamente le linee ad Istanbul per evitare che si diffondano le voci dei morti e dei feriti. Qui a Smirne c’è stato sicuramente un morto, si parla anche di un secondo. Ce ne sono una decina ad Istanbul e almeno quattro ad Ankara.
Non ci sono morti per colpi d’arma da fuoco ma le cause sono le percosse o l’investimento da parte delle camionette della polizia che per disperdere la folla cerca deliberatamente di colpire la gente. Le notizie da Ankara sono quelle più distorte perché innanzitutto è la sede del governo, e poi lì la rivolta si è fatto più aggressiva in quanto si è cercato di sfondare il cordone di polizia per arrivare sotto la sede del governo ed è anche dove si sono raccolti molti giovani provenienti dalla parte centrale del Paese. Ad Ankara la situazione è molto grave. Nella giornata di domenica per alcune ore è stata volutamente tagliata la luce per impedire l’accesso a internet”. Fabio continua a raccontare scene di violenza “Non ho mai visto una violenza così forte. Ci sono persone che hanno perso la vista per colpa dei lacrimogeni obsoleti che utilizza la polizia che ha anche iniziato a sparare nelle città più grandi proiettili di gomma ad altezza d’uomo e hanno già causato la perdita di un occhio ad un manifestante. Ad Istanbul so anche di lacrimogeni sparati alle finestre di chi stava riprendendo la rivolta dal balcone di casa”. La popolazione di fronte alla dura repressione si è ritrovata unita e determinata a resistere nonostante la violenza della polizia.
“Nell’arco di 72 ore
-continua a raccontare Fabio
– la protesta si è diffusa in tutta la Turchia, è una protesta non politicizzata, non c’è un partito che la gestisce, questa è la protesta di un intero popolo esasperato dalla politica del proprio governo. In piazza c’è musica, si danza, è una protesta pacifica e civile. Ci sono gruppi di persone che spontaneamente, armate di grossi sacchi, pulisce le piazze. Ogni sera chi non scende in strada a protestare percuote le pentole dalla finestra o accende e spegne le luci di casa per solidarietà con i manifestanti”.
Scene che fanno da contraltare a quelle violente degli scontri e che mostrano il lato umano di questa rivolta. “Ieri giravo per le strade di Smirne – mi racconta Fabio- ed un certo punto c’era un anziano, di quelli che se ne stanno con le mani dietro la schiena e guardano. Si è avvicinato al ragazzo turco che era con me e gli ha detto <> poi si è allontanato trattenendo a stento le lacrime”.
Lo scenario
Sono scene queste che danno la percezione di quanto quello che sta accadendo in Turchia sia la protesta di un intero popolo, senza distinzioni politiche, anagrafiche, sociali, geografiche o calcistiche, che in Turchia non è cosa da poco. Herdoğan continua a ripetere che la distruzione di un paio di alberi non può giustificare questa violenza. In effetti ha ragione, non c’è solo la motivazione ambientalista di Gezi Park alla base della rivolta, le ruspe hanno semplicemente fatto traboccare l’orlo di un vaso ormai colmo. L a repressione violenta di Gezi Park da parte del governo turco non è stata digerita perché è stato l’ennesimo episodio di una serie di provvedimenti recenti che avevano già creato il malcontento tra i cittadini turchi. Nelle ultime settimane il governo Herdoğan ha varato due leggi, la prima vieta i baci in pubblico, la seconda la vendita di alcool all’aperto e in assolut dopo le 22. Leggi che hanno creato dissenso tra la popolazione caricando una molla che è scattata immediatamente quando la polizia ha sgomberato Gezi Park. Herdoğan non ha previsto la reazione che l’uso della forza avrebbe provocato, non ha saputo interpretare la scarsa popolarità delle ultime leggi varate dal suo governo, non ha decifrato la carica repressa dei turchi. Più probabilmente, non ha voluto o non ha potuto.
La costruzione contestuale di un centro commerciale e una moschea sarebbe bizzarro in qualunque Paese ma non in Turchia dove la modernizzazione strizza l’occhio all’occidente mentre rimangono forti le radici islamiche. Combinare queste due tendenze è l’obiettivo della politica del primo ministro turco Herdoğan che, anche in vista delle elezioni del 2014, non vuole né perdere gli investimenti esteri né perdere quella cospicua parte del suo elettorato fortemente islamica. La politica sin qui condotta dal primo ministro turco ha portato il Paese ad aver un Pil maggiore all’8%, relazioni internazionali con gli Stati Uniti che intendono assicurarsi la Turchia nello scacchiere siriano, e più in generale mediorientale, in cambio di cospicui accordi commerciali che hanno fatto della Turchia un Paese dove sono ingenti i capitali esteri investiti. Conciliare un corpo capitalistico e un’anima islamica non è cosa semplice, la rivolta turca lo sta dimostrando. In molti l’hanno accostata alla “primavera araba” ma sono i turchi stessi a volersi differenziare dalle quelle rivoluzioni perché non vogliono sovvertire l’attuale sistema e se il primo ministro rivedesse le recenti leggi varate e annullasse la costruzione del centro commerciale a Gezi Park, potrebbe restare in sella fino alle prossime elezioni.
Lo scopo della protesta
“Lo scopo della protesta -spiega Fabio- è che si sparga la voce del malcontento per il governo turco e che quindi sia costretto a fare dei passi indietro sugli ultimi provvedimenti. Lo scopo è che tutti scoprano qual è la situazione ed è per questo che noi stranieri ci sentiamo in dovere di fare una sorta di reportage. Visto che i media oscurano, spargiamo la voce tramite i social network almeno fino a quando abbiamo internet per amplificare le notizie e dire che i dati sono molto peggiori, i fatti sono più gravi di quelli che filtrano in modo che la comunità internazionale faccia pressioni su Herdoğan che a quel punto per non compromettere i rapporti internazionali e commerciali sarebbe costretto a fare un passo indietro. Quello che ti posso assicurare è che i manifestanti non hanno intenzione di mollare, hanno la sensazione di potercela fare”. Lo spero. Basterebbe un gesto da parte del governo di Ankara per mettere fine a questa serie di violenze che stanno subendo i cittadini turchi.
Come spesso accade veniamo a conoscenza di alcune realtà solo quando la situazione è ormai insostenibile, ma non è ancora troppo tardi per sostenere il popolo turco nella lotta alla repressione. Non serve essere in Turchia per aiutare a diffondere il loro messaggio perché come gridano per le strade turche: ovunque è Taksim, ovunque è rivolta.