Pubblicato: Ven, 29 Set , 2023

Silvio Berlusconi e l’Eredità Culturale della Televisione Italiana: L’impatto su Generazioni di Italiani

Seguendoci dall’adolescenza alla maturità, alla terza età: un certo tipo di trasmissioni, che hanno creato un certo tipo di pubblico e formato un certo tipo di elettorato.

Nel giugno di quest’anno, è venuto a mancare Silvio Berlusconi. Al di là del commiato tradizionale, non è il suo percorso politico che oggi intendiamo analizzare, ma l’impatto che la sua influenza ha avuto sul panorama culturale italiano, con effetti profondi sulla formazione delle generazioni che sono cresciute durante l’epoca della sua egemonia televisiva.

Durante il periodo precedente alla sua ascesa al potere politico, Berlusconi, attraverso il controllo delle reti televisive private, ha contribuito a plasmare una nuova cultura mediatica. La sua impronta ha attraversato decenni di programmazione, influenzando profondamente l’intrattenimento e la percezione del mondo delle giovani generazioni. Questo cambiamento ha avuto un effetto devastante sulla cultura italiana e sul processo di formazione delle nuove generazioni, che hanno assorbito, quasi inconsciamente, un certo tipo di contenuti e valori veicolati dalla televisione commerciale.

Negli anni ’80 e ’90, l’emergere delle reti televisive di Berlusconi segnò un profondo cambiamento nei palinsesti televisivi italiani. Se prima l’offerta era maggiormente legata alla cultura, all’informazione e all’intrattenimento educativo, con la “rivoluzione” televisiva di Berlusconi venne introdotto un nuovo linguaggio, fatto di leggerezza, frivolezza e spettacolarizzazione. La televisione commerciale di quel periodo diede vita a un nuovo tipo di trasmissioni: varietà sfavillanti, giochi a premi, reality show e programmi di intrattenimento che sembravano favorire l’apparenza piuttosto che il contenuto.

Uno degli esempi più emblematici fu Non è la Rai, programma che ha segnato un’epoca e che, in retrospettiva, rappresenta simbolicamente l’effetto della televisione commerciale su una generazione di adolescenti. Ragazze giovanissime esposte al pubblico televisivo come oggetti di spettacolo, circondate da un’aura di superficialità, che ha contribuito a consolidare stereotipi sessisti e a dettare un certo tipo di standard estetici e comportamentali.

Non si trattava solo di intrattenimento, ma di un vero e proprio processo di formazione culturale. Le giovani spettatrici e gli spettatori di “Non è la Rai”, cresciuti con quel tipo di modelli, sono diventati i genitori di oggi, portando con sé un bagaglio di valori e convinzioni che hanno avuto un impatto sulla società odierna.

La Generazione della “Televisione Berlusconiana”

Le generazioni cresciute davanti a programmi come “Non è la Rai”, “Drive In” e i vari show delle reti Mediaset, hanno vissuto una formazione culturale che si discostava dai modelli più classici e educativi. La spettacolarizzazione della vita quotidiana, la riduzione dei contenuti complessi a battute e gag superficiali, e la presenza costante di modelli estetici e di comportamento vacui hanno contribuito a creare un pubblico abituato a ricevere stimoli facili e immediati.

Questo processo ha creato un tipo di elettorato che, negli anni successivi, ha trovato in Berlusconi il proprio riferimento politico. La costruzione di un’immagine carismatica e vincente, unita alla diffusione di messaggi semplici e diretti attraverso i mezzi di comunicazione, ha fatto leva su un pubblico già plasmato da decenni di televisione commerciale. L’intrattenimento si è così fuso con la politica, creando una commistione pericolosa e un ambiente in cui il confine tra realtà e spettacolo diventava sempre più labile.

Nel mezzo di questa deriva culturale, la figura del “diavoletto” nei programmi televisivi di intrattenimento rappresentava una caricatura di una realtà politica semplificata, in cui il termine “comunista” veniva utilizzato in modo grottesco e denigratorio. Questa retorica, trasmessa con leggerezza e ironia, ha contribuito a banalizzare il dibattito politico, creando contrapposizioni superficiali e polarizzando l’elettorato su basi effimere.

Le nuove generazioni, cresciute in questo clima di semplificazione, hanno assorbito visioni polarizzate della società, in cui complessità e profondità erano sacrificate in favore di uno spettacolo superficiale e immediato. Questo ha avuto un impatto a lungo termine sul panorama politico e sociale italiano, con un elettorato sempre più incline a cercare risposte facili e veloci a problemi complessi.

Il lascito culturale dell’era televisiva berlusconiana è ancora presente nella società odierna. Le generazioni che sono cresciute con quei modelli televisivi hanno sviluppato una percezione della realtà e della politica profondamente influenzata da decenni di televisione commerciale. Se da un lato Berlusconi ha rivoluzionato il modo in cui l’intrattenimento veniva prodotto e consumato in Italia, dall’altro ha lasciato un vuoto culturale che ha impoverito la capacità critica di intere generazioni.

La televisione, che avrebbe potuto essere uno strumento educativo e formativo, è diventata uno specchio deformato della realtà, contribuendo a creare una cultura dell’apparenza e della superficialità. Le conseguenze di questo processo si riflettono ancora oggi, nelle scelte politiche e culturali di un elettorato che ha assorbito, sin dall’infanzia, il linguaggio e i valori di quella televisione.

Di

- Danilo Sulis, oggi presidente di rete 100 passi, è l'amico di Peppino Impastato che ha fatto proseguire il cammino di Radio Aut con la nuova Radio 100 passi. Pioniere dell'informazione libera ed indipendente è stato anche docente in corsi di "Formazione professionale continua per giornalisti" presso il "centro di documentazione giornalistica" di Roma.

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