Se questo é amore vero!
Una domenica di fuoco, al Barbera, accesa dall’energia dei giocatori rosanero e dalla ritrovata tifoseria palermitana
Ma se è amore vero, basta poco, un refolo di vento, una speranza, un sogno o semplicemente un’illusione, ed eccolo rinascere dalle sue ceneri, come l’Araba Fenice, più bello e rigoglioso che pria: come direbbe il poeta. Ma io che poeta non sono, ma un semplice scrivano, innamorato marcio del calcio e, ancor di più, del Palermo, ora cerco di raccontarvi con parole mie quel che di forte ed emozionante è accaduto ieri al “Barbera”, per la prima in assoluto del nuovo Palermo, targato Gattuso.
La squadra e i suoi tifosi venivano fuori da un’annata maledetta, solo sconfitte e umiliazioni, culminate, alla fine, nella vergogna peggiore possibile: la retrocessione in serie B, dopo nove, eccellenti stagioni nella massima serie (mai accaduto prima, nella sua ultracentenaria storia). Ho visto piangere vecchi e bambini, quella sera allo stadio, ma anche signori tutti d’un pezzo, quando, quasi a partita finita (Palermo-Udinese, ultima chance rosanero per la salvezza), Benatia, terzino friulano capitato per caso dalle parti di Sorrentino, siglò, con un tiro sbagliato, il gol della vittoria bianconera.
Mi basta ripensare al quel gol che anche i miei occhi si inumidiscono di pianto e provo ancora un brivido lungo la schiena: l’ululato dei trentamila sugli spalti, che non volevano credere ai propri occhi, fu lungo e straziante. Sembrava il lamento finale, quello che, dopo una lunga agonia, accompagna l’ultimo respiro di una persona cara. Eppure di quella tiepida sera di maggio allo stadio, non mi è rimasta solo la tristezza del suo epilogo, ma la strepitosa bellezza dei trentamila sugli spalti, il loro tifo commovente, bandiere, striscioni, canti e cori. Uno scenario che riscalda il cuore e spiega perché il calcio è lo sport più popolare del mondo. Trentamila tifosi sempre in piedi ad applaudire una squadra, generosa ma palesemente inferiore all’avversario. Ad applaudirla fino al 90′, quand’era praticamente certo ormai che, dopo quella sconfitta, sarebbe retrocessa. Commovente.
Accade solo negli happening popolari che vivono solo di passione pura, come può essere, appunto, una partita di calcio, dal cui esito dipende il destino di una squadra. E nello stesso istante che segna la caduta, il popolo dei tifosi è ancora lì, non si tira indietro, sostiene la sua squadra, la colma di tenerezze: applausi, canti, cori, inni. Una serata finita come peggio non poteva essere e che, a giudicarla da quel succedeva in quel novantesimo minuto, sembrava piuttosto una serata trionfale.
Così è il calcio, quando si identifica metaforicamente con la vita: se hai sputato l’anima fino all’ultimo per vincere la tua partita, alla fine il risultato può anche passare in secondo piano.
Ma, passata la “trance” emotiva di quella partita, il popolo rosanero si è ridestato e ha scatenato la sua furia, crocifiggendo il mondo intero e specialmente, quello che per lui era il primo responsabile della débacle: Zamparini. Gliene ha detto e scritte di tutti i colori; alcuni, i più esagitati, sono arrivati perfino a minacciarlo fisicamente (sputi e spintoni alla sua auto). Dimentichi del tutto del passato, più o meno recente. Perché così sono i tifosi: si accendono e si spengono in un baleno: “Zamparini, vattene!”, era l'”invito” più soft. La serie B presa come un’onta intollerabile, specie al cospetto dei cugini catanesi, che, per farcela pesare di più, questa retrocessione, si sono riuniti in massa nella piazza centrale della città per . festeggiarla. Urlandoci in faccia sguaiatamente quanto piacere abbiano provato nel vederci retrocedere.
Il tifo è anche questo, non è la sua parte migliore (anzi è la più becera e volgare) ma è così che funziona: mi fa godere di più la tua sconfitta che la mia vittoria. E’ un “non sense”, ma ci sta, se non si oltrepassano certi limiti. Quel festeggiare in piazza dei catanesi di sicuro li superò.
E fece ancor di più infuriare i tifosi rosanero nei confronti del presidente. Com’è umano che accada: quando succede il peggio, si cerca sempre il responsabile. Qual era in effetti, e come lui stesso ha più volte riconosciuto. Ma lo erano anche gli altri, dagli allenatori, succedutisi nell’arco della stagione, ai dirigenti, ai giocatori. Ma il capro espiatorio fu subito individuato nel presidente. E non per puro accanimento, perché è innegabile che Zamparini l’estate scorsa smantellò una squadra, senza trovare valide soluzioni né fare i necessari investimenti.
Per non parlare dei tre allenatori (anzi, quattro, perché uno, Gasperini, lo richiamò, dopo averlo licenziato, per poi esonerarlo di nuovo!), dei tre direttori tecnici, che sarebbero due, Perinetti e Lo Monaco, solo che Perinetti prima lo licenziò e poi lo richiamò! Insomma, un valzer (di uomini e cose) che potrebbe definirsi esilarante se non fosse stato, invece, la pietra tombale su quel Palermo e quel campionato.
Fine della storia, fine del Palermo. Tifoseria allo sbando, passione repressa come fosse una vergogna e i “faccioli”, sempre più numerosi, di nuovo a rotta di collo sulle “strisciate”. Il classico scappar via dal carro del perdente per salire su quello dei vincitori, che poi per i “faccioli” sono sempre gli stessi: Juve, Milan e Inter.
“Che tristezza!”, sfotticchiavano con lepida cattiveria, i sapientoni che non amano il calcio perché popolare e “tascio”. Ma fossero stati ieri al “Barbera” per il debutto del nuovo Palermo, forse si sarebbero ricreduti nel vedere quasi ventimila spettatori sugli spalti, animati di nuovo dal sacro fuoco della passione e del tifo, riabbracciare i propri giocatori, come fossero reduci da chissà quale trionfo e non da un’umiliante retrocessione. Ma questo è il calcio, questo certamente il suo volto migliore, perché capace di dimenticare il dolore al primo refolo di vento (la vittoria di ieri in coppa Italia sulla Cremonese), che custodisce dentro di sé i simulacri di un sogno: quello di tornare subito in serie A.