Roma, cittadini indignati solidarizzano con Roberto Mancini
Il sostituto commissario indagò sul traffico dei rifiuti nella terra dei veleni, in Campania. Oggi, malato di tumore, chiede un risarcimento allo Stato che gli riconosce un indennizzo di soli 5.000 euro
La storia di Roberto Macini, poliziotto che ha indagato sul traffico di rifiuti in Campania per anni e che ha contratto il tumore, ha scosso parte della società civile. Un gruppo di giovani, “privati cittadini” sottolineano, ha creato una pagina di sostegno a Mancini su Facebook e ha organizzato, questa mattina, un sit-in nel piazzale del commissariato presso cui il sostituto commissario lavora, a Roma, nel quartiere S. Lorenzo, per esprimergli solidarietà.
“Siamo cittadini e sentiamo di non potere lasciare solo il sostituto commissario Mancini – scrive Antonio Caprari su internet, invitando i lettori alla manifestazione –, è un servitore dello Stato che sta pagando un prezzo altissimo per aver fatto il proprio dovere”.
Era il 1992. La procura della Repubblica di Napoli aveva avviato l’inchiesta denominata Adelphi, che in greco significa fratelli. A coordinarla c’erano i pubblici ministeri Giuseppe Narducci e Aldo Policastro. Era stata messa in luce l’esistenza di una rete criminale che aveva fatto della monnezza un affare milionario, una rete tentacolare che abbracciava boss affiliati ai Casalesi, imprenditori e, appunto, fratelli massoni appartenenti a logge toscane. Una vera e propria holding dedita, in Campania, nella Terra dei fuochi, alla raccolta, al trasporto e allo smaltimento illecito dei rifiuti. Rifiuti urbani, ma anche tossici e nucleari.
Come funzionasse il business lo aveva raccontato a quei magistrati un boss del clan dei Casalesi, Carmine Schiavone, oggi collaboratore di giustizia. L’ex capo mafioso aveva tracciato le geometrie dei ruoli affidati ai singoli componenti della rete criminale, aveva disegnato la geografia dei luoghi in cui era stata sversata l’immondizia.
Le tessere del puzzle erano tutte sul tavolo dei magistrati, bisognava cercare le prove. Indagare, andare a fondo. Le parole di Schiavone dovevano essere suffragate dai fatti. E, quindi, nei campi inquinati, nelle discariche abusive, sui terreni contaminati da fanghi tossici e scorie nucleari, da vernici e residui di lavorazioni edilizie, da rifiuti ospedalieri, bisognava trivellare, scavare, fare continui sopralluoghi, raccogliere campioni, trascorrere ore, giornate, mesi.
Un girone dell’Inferno in cui, Roberto Mancini, agente della Criminalpol, ha trascorso due anni, dal 1994 al 1996, per cercare la verità sui traffici illegali di rifiuti. E, poi, altri quattro anni, dal 1997 al 2001, come consulente della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti. E’ il poliziotto che ha accompagnato Schiavone in sorvolo sulle terre inquinate, che ha fatto sopralluoghi nei siti che, dall’elicottero, il pentito aveva indicato come quelli in cui erano stati interrati i veleni. Ha ascoltato ore e ore di intercettazioni, ha trascritto le parole dei broker della monnezza. Ha seguito i camion su e giù per la Penisola, quelli che dal Nord portavano tonnellate di rifiuti in Campania.
E’ il poliziotto che ha ricostruito la filiera dei rifiuti nella terra di Gomorra, ha individuato i personaggi chiave della vicenda – Francesco Bidognetti, Gaetano Cerci e Cipriano Chianese – e ha redatto un’informativa di 250 pagine con nomi, fatti e contatti con la Massoneria, “una di quelle forze che si contrapponevano all’emersione della verità – ha dichiarato più volte Mancini, intervistato dai media -. La massoneria è più potente della criminalità”. Mancini aveva consegnato quell’informativa ai magistrati che si erano dichiarati entusiasti dei risultati, ma che nelle settimane successive avevano bollato quel rapporto informativo come documento da inserire in un fascicolo virtuale, da riprendere, eventualmente, in occasione di altre successive inchieste.
Amareggiato, Mancini ha continuato a combattere il crimine e di quel rapporto aveva perso le tracce. Fin quando, con sorpresa, nel 2010, è stato chiamato dalla Dda di Napoli come testimone in un’indagine sui rifiuti.
Nel frattempo, dopo anni nella terra dei veleni, nel 2002, il poliziotto ha scoperto di essere stato colpito dal linfoma di non Hodgkin di tipo follicolare. Tra i fattori predispondenti e causali di questa neoplasia ci sono alcuni agenti infettivi, chimici e fisici. Di tumore è morto anche un consigliere della Commissione parlamentare, Alessandro Sacco, che aveva seguito con Mancini quelle indagini. Nel 2005, Mancini ha subito un trapianto di cellule staminali autologo. Sembrava che la malattia regredisse. Ma, nel 2011, i medici gli hanno diagnosticato la recidiva. Ha chiesto allo Stato un risarcimento per la malattia contratta in servizio e gli è stato riconosciuto un equo indennizzo. Cinquemila euro!
Tradito. Questa volta Roberto Mancini si è sentito tradito dallo Stato, uno Stato che non lo ha tutelato.
“Mancini è un simbolo per la sua dedizione al lavoro – spiega al telefono Sara Cinquegranelli, anche lei tra gli organizzatori del raduno -. Con il sit-in davanti al Commissariato in piazzale S. Lorenzo vorremmo sensibilizzare l’opinione pubblica, perché c’è chi si batte per la legalità, combatte la criminalità, eppure è lasciato solo. Abbiamo conosciuto la storia di Mancini leggendo i giornali o guardando trasmissioni televisive. Non siamo riusciti a rimanere indifferenti. Il nostro impegno è organizzare sempre più iniziative per esprimere solidarietà a questi eroi ”.
Foto di Mat Nardone