Molino (Report): ”La parola fa paura, Media Freedom Act inapplicato anomalia gravissima”
”Sui giornalisti aggrediti ci stanno abituando a vivere cose spaventose, si stanno normalizzando vicende che fino a pochi anni fa sarebbero apparse inconcepibili”.
È la denuncia di Walter Molino, giornalista di Report Rai 3, che un incontro pubblico a Palermo organizzato da Antimafia Duemila, ha tracciato un quadro allarmante dello stato della libertà di stampa nel Paese. Le sue parole descrivono una realtà in cui intimidazioni, querele temerarie, sorveglianza e pressioni politiche non rappresentano eccezioni, ma un clima ormai consolidato. «Ci stanno abituando a vivere cose spaventose», afferma, spiegando come ogni aggressione ai giornalisti venga rapidamente dimenticata. «Quando esplode un ordigno davanti a casa di un collega arriva la solidarietà di rito, ma il giorno dopo ricomincia tutto come prima: querele, minacce, intimidazioni.»
Secondo Molino una delle carenze normative riguarda il Media Freedom Act, il regolamento europeo entrato in vigore l’8 agosto che rafforza indipendenza e pluralismo dei media negli Stati membri. «L’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea che non l’ha ancora recepito», sottolinea. «È un’anomalia gravissima che dice molto su come viene concepita la libertà di informazione nel nostro Paese.» La mancata attuazione del regolamento apre la porta, secondo il giornalista, a una serie di pratiche che altrove sarebbero impossibili, come la sorveglianza dei reporter tramite software esteri. «In Italia si può continuare a spiare i giornalisti con strumenti che dovrebbero essere unicamente nelle mani del governo. Una situazione che non esiste in nessun altro Paese europeo.»
La denuncia si estende poi al tema delle querele temerarie, usate come arma di pressione politica e intimidatoria. Molino ricorda un caso emblematico: «Siamo l’unico Paese in cui un partito politico della maggioranza querela un programma del servizio pubblico. È la strategia del “colpirne uno per educarne cento”.» L’assenza di una normativa seria contro le SLAPP e la debole tutela del segreto professionale amplificano un meccanismo che spinge molti giornalisti a evitare inchieste scomode per paura di cause milionarie. «Questo penalizza soprattutto chi lavora sul territorio, senza un grande editore alle spalle. La maggior parte dei colleghi che fanno inchiesta locale è sola e vulnerabile.»
Il giornalista mette in guardia anche dal crescente tentativo di limitare il dibattito pubblico, in particolare nei luoghi di formazione. Racconta l’annullamento di un incontro con centinaia di studenti, giustificato dalla scuola in seguito a una circolare del ministro Valditara che impone la rappresentazione “di tutte le parti” durante gli eventi. «È stato incredibile sentire che l’iniziativa veniva annullata perché presente anche la magistrata antimafia Federica Baccaglini. Si è detto che avrebbe potuto parlare di indagini in corso. È un’argomentazione ridicola: nessun magistrato serio lo farebbe. Il punto vero è che la parola fa paura.»
Molino insiste sul ruolo centrale dell’informazione in una democrazia, soprattutto in un momento storico segnato da pressioni e tentativi di zittire il dissenso. «L’informazione svolge una funzione democratica fondamentale. Anche se continuiamo a vedere cose spaventose, non abbiamo nessuna intenzione di arretrare. Il dovere del giornalismo è quello di continuare a raccontare, anche quando chi detiene il potere prova a rendere impossibile farlo.» Le sue parole arrivano in un contesto già fortemente compromesso, con l’Italia che continua a scendere nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa e le istituzioni europee che richiamano il Paese alla necessità di tutelare il pluralismo informativo. Molino non offre letture catastrofiste, ma una constatazione concreta: la libertà di stampa esiste solo se viene esercitata. «Il cerchio si chiude sempre lì: la parola crea domande, e le domande danno fastidio. Ma proprio per questo dobbiamo continuare a farle.»


















