Marcia antimafia: le interviste
Le interviste a Padre Cosimo Scordato, Vito Lo Monaco e Vittoria Casa
di Gilda Sciortino
Ad avere costituito negli anni ’80 il primo Comitato popolare antimafia, che ha poi aderito alla marcia di 30 anni fa, è senza dubbio padre Cosimo Scordato, pioniere di tante battaglie nella chiesa del popolare e difficile quartiere dell’Albergheria. Immancabile, quindi, la sua presenza alla testa del corteo del 26 febbraio 2013. “Quella di oggi è una grande opportunità – afferma il sacerdote – per condividere con il mondo giovanile la comune resistenza al fenomeno mafioso, e la voglia di unire le forze per offrire alternative al mondo mafioso e alla penetrazione di Cosa Nostra nella politica e nella società civile. Il momento è vivo, non solo in quanto ricordo del passato, ma poiché porta in sé tutto quello che è successo e maturato in questo trentennio”. Oggi, infatti, lo dicono a più voci, soprattutto a livello ufficiale c’è un atteggiamento chiaro, preciso e netto contro la mafia, sia da parte delle istituzioni pubbliche sia della Chiesa. “Nella Chiesa è maturato ulteriormente il senso dell’incompatibilità tra il Vangelo e la mafia – prosegue padre Scordato -. Perché, va detto e ribadito che, anche se molti mafiosi si professano cristiani, credenti, o pretendono di venire in Chiesa, non possono essere accettati in quanto scomunicati. Sono, infatti, dichiarati “non compatibili” con la vita della comunità poiché cercano soldi, usano la violenza, inquinano l’ambiente politico, si impongono con la loro presenza in maniera parallela alle istituzioni, distruggono inevitabilmente la democrazia”. E le scuole? Che ruolo hanno in tutto questo? “Le scuole hanno ormai acquisito, nei loro progetti, un concreto atteggiamento antimafioso attraverso i percorsi di educazione alla legalità, il cui obiettivo è costruire sviluppo coerente con la vita democratica. Una consegna che continua di generazione in generazione, e che proseguirà sino a quando non sarà più necessario portarla avanti. Il lavoro che, per esempio, facciamo al San Saverio punta in questa direzione, servendo come spazio comune in cui tutti siamo corresponsabili, e di cui tutti dobbiamo prenderci cura affinché migliori, costruendo e proponendo un modello diverso da quello offerto dalla mafia”. Rispetto, invece, alle scelte politiche? “Queste vanno vissute e discusse nello stesso territorio, maturandole nei confronti delle persone a cui sta a cuore il bene comune della collettività, e che non vogliono concentrare tutto nelle proprie mani, speculando sulla vita della gente. Favorire questi processi di partecipazione e di sensibilizzazione delle coscienze è l’unica alternativa alla mafia, ma si tratta di un percorso lungo dal punto di vista sociale. Ci vogliono, inoltre, sinergie perché, mentre a noi spetta la costruzione dell’alternativa, alle forze dell’ordine quella di sconfiggere la resistenza delle istituzioni nei confronti di Cosa Nostra”. Un lavoro lungo e certosino, dunque, al quale devono tutti contribuire. E che può funzionare, solo se si è concordi sul percorso da compiere. “Non c’è dubbio che in questi 30 anni molte cose sono cambiate – aggiunge Vito Lo Monaco, presidente del Centro Studi “Pio La Torre” -, come per esempio il fatto che abbiamo una buona legge antimafia. C’è anche una maggiore sensibilità politica, che consente di percepire il pericolo che la mafia rappresenta per la democrazia, ma anche per la crescita del nostro Paese e dell’Europa tutta. Una coscienza, che deve spingere il prossimo nuovo Parlamento a mettere al primo punto all’ordine del giorno della sua prossima agenda politica la battaglia alle mafie. Perché, ricordiamolo, la mafia è questione politica, e la sua scomparsa discende dal modo di intendere il governo della cosa pubblica e il modello di sviluppo del paese. Si tratta, infatti, di scegliere tra un libero mercato condizionato dal diritto o dalla mafia, tra una democrazia espressione di cittadini liberi o di cittadini intimiditi dalla mafia e dei bisogni”. Come, dunque, lavorare nel concreto? “Ci vuole, per esempio, una legge elettorale che impedisca ai rinviati a giudizio per mafia e corruzione di essere candidati, ma anche una buona legge anticorruzione che confischi i beni a mafiosi e corrotti. Necessita, poi, una forte volontà politica, che porti finalmente e veramente a distruggere il trinomio “mafia, affari e politica”. Ma, per questo, non può venire in aiuto la giurisprudenza”. Grazie, poi, a manifestazioni come questa, fare in modo che la volontà parta anche da una maggiore consapevolezza, da parte del mondo giovanile, della realtà che gli sta attorno. “Sicuramente – sostiene in conclusione Vittoria Casa, coordinatrice della rete delle scuole “Bab el ghiri”, comprendente 18 scuole, 14 del territorio e 4 dell’hinterland -, infatti ogni giorno portiamo avanti tutta una serie di attività culturali antimafia, che non vogliono essere di facciata, ma il prodotto di un percorso intrapreso tutti insieme, perché convinti della sua bontà. Per esempio, la cosa più bella capitata durante quest’ ultimo corteo è stata vedere i genitori prendere un giorno di ferie, per partecipare insieme ai loro figli a una manifestazione, che avevano vissuto allo stesso modo come studenti 30 anni prima. Io stessa, nel 1983, ero adolescente, e ricordo bene l’aria che respiravamo. Se neanche in famiglia si poteva parlare di mafia, pensate che clima c’era fuori. Abbiamo fatto passi da giganti, ma dobbiamo farne di strada, sapendo di non potere abbassare la guardia. Credo fermamente che la mafia si potrà sconfiggere solo se continueremo a lavorare con la cultura, operando soprattutto con i giovani. Daremo, così, finalmente ragione a Giovanni Falcone, per il quale la mafia è un fenomeno e, come tale, prima o poi dovrà per forza di cose scomparire”.