La Mafia? Un marchio di successo da globalizzare
Presentato a Palermo l’Atlante delle Mafie, un’opera che toglie alla Sicilia l’esclusiva del fenomeno, analizzando anche il ruolo della ‘ndrangheta nel nord Italia
di Gilda Sciortino
A cosa è dovuto il successo plurisecolare delle mafie italiane? E come mai viene definita “mafia” ogni violenza privata che ha successo nel mondo? Sono le prime due domande alle quali tenta di rispondere l’Atlante delle mafie, edito da Rubbettino (458 pagine), il cui primo volume è stato presentato ieri, all’Archivio Storico di Palermo, da Enzo Ciconte e Francesco Forgione, autori, insieme con Isaia Sales, dell’importante opera, che spazia dalle prime commissioni d’inchiesta sulla mafia al maxiprocesso di Palermo, dall’ascesa dei Casalesi al lessico dei cantanti neomelodici, dal rapporto con il cibo dei boss a quelli tra coppola e pallone, fino alla conquista da parte della criminalità organizzata dei territori del Nord. Un testo che, partendo dalla messa in discussione del paradigma interpretativo dell’esclusività della Sicilia nella produzione di ciò che comunemente si intende per mafia, e riflettendo sul fatto che si tratta di un fenomeno che, nato in Sicilia nell’Ottocento, ha avuto una così lunga durata, ritiene non più utile continuare a descriverlo solo come un originale prodotto siciliano.
“Il modello mafioso – scrivono gli autori – si è dimostrato riproducibile nel tempo e in altri luoghi, non essendo più specifico solo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia. Con il termine mafia si deve, infatti, intendere oggi un marchio di successo della violenza privata nell’economia globalizzata”.
“La Sicilia ha avuto una visione troppo centrata sul fenomeno mafioso – sostiene Ciconte – come se fosse l’unica forma di criminalità organizzata. Una lettura troppo “palermocentrica”, che in parte ha fatto perdere di vista le reali dimensioni del fenomeno. In questo senso, l’Atlante offre una visione d’insieme, un ragionamento più che un racconto cronologico.
La ‘ndrangheta, per esempio, al nord ha e ha avuto un impatto fortissimo, per il suo ruolo attivo come garante e nel riciclaggio di denaro”.
Ed è con questa ottica che l’Atlante delle mafie passa in rassegna le “qualità” criminali che differenziano nettamente i fenomeni mafiosi dalla criminalità comune e da quella organizzata, sintetizzandole in cinque caratteristiche: culturali, politiche, economiche, ideologiche e ordinamentali. Temi e aspetti da sempre dibattuti, per esempio da esperti del calibro di Pietro Grasso, presente anche lui alla presentazione, nei panni di neo senatore del Pd.
“Visto che la mafia si è ormai anch’essa globalizzata, dobbiamo scoprire come si organizza nel resto del Pianeta – afferma l’ex Procuratore Nazionale Antimafia -, quindi un lavoro come quello che ha prodotto l’Atlante serve molto per avere un quadro quanto più possibile completo. Mi devo ancora abituare al mio nuovo ruolo, ma non cambia nulla dal punto di vista dell’impegno perché gli obiettivi sono sempre quelli: nuove risorse per la magistratura, così come per le forze di polizia. Questo perché, ricordiamolo, la lotta alla mafia non può avere colore politico. Ovviamente ci vogliono le leggi, quelle sulla corruzione, sul falso in bilancio e il voto di scambio. Non so se sono temi condivisi dalle altre forze politiche, ma per noi è una priorità combattere l’economia criminale, recuperando in tal modo le risorse necessarie da utilizzare per lo sviluppo e la crescita, per diminuire il costo del lavoro e combattere la disoccupazione giovanile”.
Il rapporto tra le mafie e la società civile è, infatti, l’aspetto principale analizzato da questo primo volume, al quale ne seguiranno altri due, parte di un più ampio progetto imperniato sul recupero della memoria, che unisce l’Osservatorio sulla ‘ndrangheta e Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.
“È indispensabile non solo il recupero della memoria – sottolinea Giovanni Impastato -, ma prima ancora il non permettere che venga cancellata.
Nel nostro progetto, portato avanti in tandem con l’Osservatorio sulla ‘ndrangheta, abbiamo realizzato il percorso dei Cento Passi tra Casa Memoria e Casa Badalamenti, ma siamo ancora in attesa di ricevere le autorizzazioni dell’amministrazione comunale per realizzare gli allestimenti all’interno dell’abitazione del boss.
Inoltre, il casolare in cui è stato ammazzato Peppino e dove sono state trovate le macchie del suo sangue, è ridotto a una discarica.
Come recuperare la memoria, se poi dalle istituzioni non giunge alcun aiuto o segnale?”.
L’operazione che ha portato storici, studiosi, magistrati, esperti del settore a sposare un progetto del genere, non ci sono dubbi, va sicuramente nella direzione della protezione della memoria. Cercando, però, di comprendere un percorso completo, antico e in continua evoluzione come questo, si deve guardare anche a ciò che in questi anni ha compiuto la ‘ndrangheta nel nostro Paese.
“La commissione antimafia é stata istituita nel 1963, e la prima relazione sulla ‘ndrangheta l’ho redatta io nel 2008. In quella sede – ricorda Francesco Forgione – avevo dedicato l’ultimo lungo capitolo a descrivere le sue infiltrazioni all’interno dei Comuni del Nord, e per questo fui insultato dall’allora sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, così come da quello di Milano, Letizia Moratti, perché avrei leso l’immagine dei loro Comuni. Oggi lo scioglimento di tanti consigli comunali e le inchieste giudiziarie dimostrano il contrario”.
Delicato e controverso anche il tema del rapporto tra magistratura e politica, su cui interviene il giudice Piergiorgio Morosini, affermando di non credere che il problema sia oggi quello esclusivo delle leggi. “Il vero problema è piuttosto quello delle norme di sistema, che a volte interrompono gli accertamenti della verità in tempi brevi. E’, però, fondamentale il dialogo tra questi due mondi, la magistratura e la politica. Un dialogo che, in certi momenti storici, come quello di Falcone al ministero della Giustizia, è stato proficuo, mentre in altri momenti totalmente inesistente”.
L’Atlante delle mafie è già presente sugli scaffali delle librerie italiane. L’auspicio è che giunga anche sui banchi di scuola dei nostri studenti, per far capire soprattutto a quanti non erano neanche nati, per esempio nel 1992, cosa ha voluto significare, per chi ha qualche anno in più di loro, vedere scorrere sull’asfalto delle strade siciliane il sangue di chi, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche numerosissimi altri magistrati, poliziotti, commercianti, semplici cittadini, ha creduto nello Stato, e per lo Stato ha dato la vita. Forse, anche grazie a questa opera, le non sempre esaustive informazioni contenute nei testi di scuola potranno essere corrette e integrate, colmando un vuoto di memoria inconcepibile, inaccettabile.
Forse, anche grazie a questo volume, quegli studenti palermitani che un giorno, riferendosi all’aeroporto Falcone e Borsellino, si chiedevano chi fossero questi due illustri sconosciuti, ai quali la città aveva voluto dedicare il suo aeroporto, cominceranno a porsi qualche domanda in più. Aiutati in questo percorso di consapevolezza dai tantissimi che, fortunatamente, credono ancora che le cose possano cambiare, per arrivare tutti insieme al giorno in cui le parole di Giovani Falcone ci ricorderanno solamente che le mafie sono solo un triste e drammatico ricordo del passato.