Il coraggio di una ragazzina
La storia di Rita Atria, fulgido esempio di antimafia sentimentale
di Rosalba Barbato Di Giuseppe
Tracciare un ritratto di Rita Atria è semplice, anche se al tempo stesso complesso. Grazie alla sua giovane età e alla voglia di rivelare e rivelarsi ci ha lasciato un materiale social-sentimentale ineguagliabile sulla situazione di testimone di giustizia. Le pagine scritte ci offrono, poi, una panoramica sulle vicende politiche e sociali di Partanna, un affresco su come sia cambiata totalmente la sua vita, in meglio ma purtroppo anche in peggio.
Ha solo 17 anni, Rita, quando decide di ribellarsi al sistema mafioso che ha invaso la sua famiglia già da tempo. Dice basta per il bene che prova per sua madre, dopo l’assassinio di suo padre, Don Vito, e di suo fratello Nicola; non vuole versare lacrime su altri morti, aspirando ardentemente a una vita senza intrusioni minacciose, quindi denuncia per sé e per sua madre.
Rita pensa di uscire da quella situazione opprimente raccontando semplicemente quello che sa, ma è solo l’inizio. Sia sua madre, portatrice di una mentalità subordinata e contorta, sia il fidanzato coetaneo o forse poco più grande, purtroppo anch’egli vittima di quella mentalità, la rinnegano. Sono certi entrambi, Rita si è cacciata in un guaio, ”che se la sbrighi da sola adesso”.
In questo contesto di isolamento una figura amichevole le viene in aiuto. A vivere, infatti, le medesime vessazioni é la nuora Piera Aiello che, dopo la morte di suo marito, nonostante la sofferenza tenti la carta della ribalta, si allontana con fermezza da quell’ambiente. E’, infatti, proprio lei che fa nascere in Rita una nuova concezione della vita; le fa conoscere Paolo Borsellino e la convince che è importante dare una svolta, non restare impantanati, che bisogna togliersi di dosso l’odore del fango mafioso e respirare.
Rita, dimostrandosi presto donna, si affida al magistrato palermitano, che ha cura di lei come se fosse uno zio, perché immagina il suo dolore e in qualche modo tenta di alleviarlo con la forza delle idee. Vive, quindi, di speranza e con qualche sprazzo di felicità regalatogli dalla sorellanza offertagli da Piera, fin quando non arriva la notizia della strage in Via D’Amelio.
E’ a quel punto che rimane vittima di se stessa, non riesce ad andare fino in fondo, si lascia vincere dal pessimismo, dalla stanchezza, diventando comunque portatrice di una nuova antimafia, quella messa a punto anche da Peppino Impastato, un’antimafia fondata sulla bellezza, sulla vitalità, sul sentimento. Rita vince il pregiudizio secondo cui ” non si è ancora in grado di valutare il bene dal male a una così giovane età”. Anche Borsellino ne era convinto, “se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.
Rita affronta il sistema non solo rispettando la legge, quindi denunciando, ma mossa da un impeto interiore, facendo un mea culpa generale, “la mafia siamo noi e il nostro modo di comportarci”. Una ragazzina che sa farsi noi, che invita, che sprona, che cade, con una forza che, però, è esauribile, limitata se non viene alimentata e nutrita con la dovuta cura.