Fecondazione: Da Strasburgo “stop” al governo Monti.
È stata respinta la richiesta del governo Monti, che era arrivata in extremis, nell’ultimo giorno utile, di rifare il processo alla legge 40
di Monica Soldano
La Grande Chambre di Strasburgo ha respinto la richiesta del governo Monti, che era arrivata in extremis, nell’ultimo giorno utile, di rifare il processo alla legge 40, dopo la condanna inflitta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo all’Italia, il 28 agosto scorso. “Incoerente”, aveva scritto nero su bianco nelle ampie motivazioni, la Corte Europea. La legge 40, infatti, contraddice i principi della tutela della maternità e della salute del nascituro contenuti nella legge 194, ed ha violato nel caso specifico della giovane coppia ricorrente, la loro privacy, intesa anche come diritto ad una vita privata e famigliare. Il tentativo di negare quella sentenza e di richiedere un nuovo giudizio era stato perorato dallo zelante ministro della salute Renato Balduzzi, che pur a bassa voce inizialmente, aveva poi seguito “laicamente” e “tecnicamente” le indicazioni del cardinale Angelo Bagnasco, sferrate dalle pagine degli organi di stampa di uno stato estero, quello del Vaticano, contro l’ennesimo passo falso verso l’ eugenetica.
Questa volta però, forzare la mano non è servito. Le argomentazioni del governo italiano sono state formali e vaghe, così il comitato ristretto dei giudici europei della Grande Chambre di Strasburgo non ha lasciato scampo alla burocratica richiesta di “salvaguardare l’integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale” e non ha ritenuto ricevibile la richiesta di ripartire con un nuovo giudizio, negando il precedente.
Una coppia italiana, ma anche con cittadinanza europea a questo punto, sarà quindi risarcita con 10 mila euro e potrà così accedere alla fecondazione assistita in Italia. La coppia, lo ricordiamo, è fertile e vive l’esperienza di un bambino affetto dalla fibrosi cistica, una malattia genetica, trasmissibile, grave, che colpisce l’apparato respiratorio. La coppia ha chiesto così di poter ricorrere comunque alla fecondazione in vitro, per tentare la diagnosi genetica di pre-impianto, per conoscere, prima del trasferimento nell’utero della madre, quale degli embrioni concepiti è portatore del gene malato. La responsabilità che deriva dalla conoscenza di questa situazione, è nuova rispetto al tempo in cui questa opportunità non c’ era, ma oggi si chiede di lasciare quella sfera decisionale libera da facili intromissioni. Qualcuno accetterà la sfida, qualcuno no, ma è tempo che la politica non scelga a colpi di maggioranza ciò che si ripercuote sulla vita degli altri.
Ecco perchè il no che arriva da Strasburgo, deve farci riflettere. Contribuisce a definire uno scenario giuridico e politico ed un metodo di lavoro con cui il nuovo Parlamento italiano, dovrà obbligatoriamente confrontarsi. Appare sempre più lontano ed indigesto l’alibi di decidere in base alla libertà di coscienza del singolo parlamentare e sempre più pressante la richiesta di restituire ai cittadini l’onere della scelta responsabile. Le tutele, semmai, devono concentrarsi su ben altri bersagli: la sicurezza delle tecniche, il controllo dei requisiti e della formazione degli operatori nei centri di fecondazione medicalmente assistita, ma anche su di una maggiore informazione sull’ attendibilità dell’offerta tecnico-scientifica. Questi, a nostro parere i nodi reali del problema, queste le responsabilità amministrative, giuridiche e finalmente politiche che in molti auspichiamo.