Dal Senegal alla Sicilia con la musica africana nelle vene
Doudou Diouf, arrivato 10 anni fa dall’Africa, ha portato con sé i ritmi del Paese che gli ha dato i natali: la sua storia tra musica, integrazione e tradizioni
Doudou Diouf nasce 46 anni fa in Senegal da padre senegalese e madre maliana, e sin dalla più giovane età, aiutato anche dal crescere in una famiglia di musicisti, si avvicina alla musica e alla danza tradizionale africana.
Nel suo paese natale forma, insieme ai suoi fratelli, il suo primo gruppo: il “Lilly Group”. La parola “lilly” in dialetto maliano vuol dire “radici” e, in questo caso, simboleggia l’essere africano, non semplicemente senegalese, di Doudou, con tutta la sua voglia di riconnettersi alle sue origini nel Mali, terra natia della madre. La reazione del pubblico è ottima, ma manca qualcosa. Doudou e i fratelli capiscono che l’unico orizzonte possibile è portare la loro musica fuori dai confini africani.
Nel 2004 inizia il loro viaggio: Italia, Germania, Francia, Svizzera sono le loro prime tappe in Europa. Proprio in quell’anno c’è il primo contatto con la Sicilia ma, arrivati a Catania, il gruppo si separa; Doudou, dopo due mesi di permanenza, a causa della scadenza del visto, è costretto a tornare in Senegal, mentre i suoi fratelli rimangono e continuano a lavorare come musicisti nella città etnea.
Quello di Doudou è solo un arrivederci, infatti nel 2011 ritorna in Sicilia, ma questa volta per rimanerci. Grazie ai contatti creati viene nuovamente a Catania per diverse serate. Qui conosce la cantante palermitana Matilde Politi, che lo porterà a Palermo dove, accanto alla sua attività di musicista, fonderà anche una scuola di danze e percussioni africane.
L’evoluzione artistica di Diouf risente chiaramente del suo percorso di vita. L’influenza dell’ambiente siciliano, come anche quello della sua compagna Matilde, infatti, lo porterà a sperimentare interessanti e felici commistioni tra la musica tradizionale africana, che negli anni ha sviscerato, e quella siciliana, che nella sua partner trova un’esponente di primo piano.
La storia di Doudou Diouf non si esaurisce, però, con il mero aspetto musicale; la sua esperienza di migrante ci fornisce, infatti, uno spaccato delle difficoltà con le quali migliaia e migliaia di immigrati devono convivere. La prima barriera che ha dovuto superare è la burocrazia, costretto ad affrontare ben tre anni di trafile burocratiche per ottenere il permesso di soggiorno, documento che ogni due anni va rinnovato.
Questo chiaramente ha avuto delle pesanti ripercussioni anche sulla sua carriera. E’, infatti, lui stesso a raccontarcelo. “Ho ricevuto delle offerte dall’Inghilterra, ma ormai non ho più la forza di ricominciare l’iter burocratico per trasferirmi in un altro paese. Inoltre, le difficoltà per il visto mi impediscono far venire altri musicisti dal Senegal, per evitare loro di affrontare i miei stessi problemi burocratici. Sapendolo, é difficile trovarne di così motivati”.
E’ ovvio che le esperienze positive leniscono i dolori, soprattutto pensando al rapporto con la comunità africana in Sicilia. É stata, infatti, questa a incoraggiarlo ad andare avanti quando, ai primi concerti, e differentemente da ora, la risposta del pubblico italiano era abbastanza fredda. La scuola da lui fondata, poi, funge anche da centro culturale, rendendo Diouf un vero e proprio punto di riferimento per gli africani di Sicilia. Addirittura Doudou racconta divertito di quando un suo connazionale l’ha definito il “Jimmy Hendrix d’Africa”.
Cartina tornasole del successo di Doudou è la grande partecipazione alle lezioni di percussioni. Nel periodo estivo queste si sono svolte all’aperto, sul prato del Foro Italico, dove, oltre a vedere l’entusiastica e numerosa partecipazione degli allievi, è possibile notare che queste di sovente si trasformano in veri e propri concerti improvvisati, per il godimento della folla di palermitani e non che, nei caldi pomeriggi estivi, cercano refrigerio in questo splendido posto del centro storico di Palermo.
Quello che dispiace, però, è che dal suo racconto non sono, purtroppo, assenti storie di ordinaria discriminazione, anche se nelle sue parole troviamo forse la migliore risposta immaginabile: “Episodi spiacevoli ne ho subiti tanti e, anche se sono preparato, sul momento mi feriscono. Poi, però, mi giro e vedo l’affetto di centinaia di persone, così non do più peso ai pochi razzisti. Basta ignorarli”.