Che ti succede, Lando?
Lettera aperta a un amico in difficoltà, attore versatile e generoso, palermitano di nascita, in uno dei giorni più difficili della sua vita
di Benvenuto Caminiti
Che ti succede, Lando? Te lo chiedo da amico di vecchia data, quando, ragazzi entrambi (tu più grande di qualche anno) parlavamo a ruota libera di tutto, ma specialmente di donne. O, meglio, di “fimmini”, come le chiamavi tu.
Tu eri arrivato da poco con la tua numerosa famiglia (padre, madre e tanti, tra fratelli e sorelle) nel “mio” rione, via Montalbo e dintorni, quivi intesi, come raggio d’azione, il quartiere che iniziava in via Montepellegrino, all’altezza della bellissima chiesa del Bambino e finiva in via Simone Gulì, la lunga e tortuosa strada che arrivava fino al mare. Precisamente fino ai “Bagni Miloro”, lo stabilimento balneare dei poveri: così era chiamato, per distinguerlo da quello dei ricchi, i confinanti ( si fa per dire) stabilimenti dell’Addaura e, più in là lungo il litorale, di Mondello.
E fu proprio in un’estate dei primissimi anni “cinquanta”, quando tu avevi 16-17 anni ed io una decina, che ebbi finalmente l’ardire di avvicinarti, perché per me eri già “qualcuno”, già favoleggiavi di cinema e Cinecittà, già programmavi di lasciare Palermo e trasferirti nella Capitale. Io ero un bimbetto e tu già un aspirante divo e avevi già un seguito nel rione, anche se eri arrivato da poco da via Perez, dov’eri cresciuto fino ad allora. Avevi quel ciuffo ribelle che piaceva tanto alle ragazze. Se ne accorsero tutti, io, che ero ancora un “pcciriddu”, solo quell’estate, ai bagni all’Acquasanta. E stavo ad ascoltare i tuoi discorsi a bocca aperta, tu parlavi sempre ed avevi il fuoco nello sguardo.
Quel fuoco cui non seppe resistere la donna che sarebbe diventata quella della tua vita, una signorina perbene, di ben altro ceto sociale, rispetto al tuo, Lucia Peralta, erede di un’importante dinastia palermitana, nel ramo gioielli. E furono virulente le lagnanze dei coniugi Peralta, che avrebbero voluto per la loro figlia ben altro partito.
Lucia fu la tua stella cometa sin da subito; progettasti con lei la “fuga” a Roma e la realizzasti con un “colpo di mano” tipico di chi non ha mai paura di niente. Tanto meno del futuro. Armato di un cappotto (era la vigilia di Natale di tanti anni fa), un paio di camicie, le scarpe che calzavi e nessun altro di ricambio e un pacchetto di “Nazionali” e i soldi giusti giusti per il treno e le prime notti in pensione (le successive sarebbero state a cielo aperto, senza neanche il conforto delle stelle, data la stagione), tuo padre ti disse poche ma solenni parole: “Se entro un anno non hai combinato niente, riporta il cappotto indietro, perché ci tengo!”.
Forse ti disse dell’altro, ma il succo era questo, come di recente hai raccontato tu, col tuo solito sorriso filibustiere, quello che al cinema fece impazzire decine di bellissime donne, le tue partner in una miriade di film che segnarono il tuo ruolo di sex simbol italiano. Un altro si sarebbe montato la testa, anzi la testa l’avrebbe persa per qualcuna di quelle fantastiche compagne di lavoro, che sul set facevano all’amore con te, e c’era in loro un trasporto tale che definirlo “mestiere” era senz’altro riduttivo.
Loro – almeno qualcuna – secondo me ci provava, ma tu, finito il film, tornavi sempre dalla tua Lucia e ti bastava uno sguardo per dirle, e sentirti dire da lei, che niente e nessuno avrebbe mai potuto dividervi. E infatti mai un gossip, mai una maldicenza sul tuo matrimonio: solo Lucia e i tuoi figli. Sempre e comunque. Sempre, ininterrottamente fino a due anni fa, quando Lucia ti ha lasciato, il male è stato più forte del tuo (vostro) amore.
E da quel giorno t’è cambiata la vita. Ti sono stati sempre vicini i tuoi figli, ma loro hanno la loro vita, tu la tua, nella quale non c’era più la tua compagna di sempre. E hai subìto il colpo come una frustata e, pur con la tua proverbiale forza d’animo, la capacità di lottare e superare le difficoltà, hai d’istinto percepito che stavolta il duello con la sorte avversa non lo avresti vinto, com’eri abituato a fare quando c’era lei a sostenerti, e ti bastava guardarla.
La notizia del tuo gesto inconsulto (si dice così) i giornali l’hanno riportata con il solito cinismo, addebitandola ad un tuo lavoro importante non andato in porto. Ma io non ci credo. Nel passato, recente e non, hai subìto delusioni di lavoro anche peggiori, sei stato persino emarginato per presunte tue ideologie politiche, come se l’artista si giudicasse da quel che pensa del governo e dei governanti e non dalle emozioni che suscita quando sta sul palcoscenico.
E allora ripenso al grande Eduardo che, in una sua celebre commedia, “Filumena Marturano”, fa dire alla protagonista: “Add’à passà a nuttata!”. E io ci conto, amico mio, anche per te “add’à passà a nuttata”.
Io credo a quel che ha detto tuo fratello Salvo, che si è trattato di un momento, può succedere a tutti, anche ai più forti, se c’è un caldo bestiale e gli anni sul groppone pesano, se lo stress per il troppo lavoro ti incalza e, soprattutto, se accanto a darti forza ed animo non c’è più la tua compagna di sempre. Quindi, alla fine, dico semplicemente quello che ti direbbe la tua Lucia: ciao, Lando, torna presto sulla scena.