Bielorussia, a due ore di volo dall’Italia la democrazia non esiste
Seminario di Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani e politici nel cuore dell’Europa, in Bielorussia
Si è svolto nel pomeriggio di venerdì, a Palermo, nella sala delle Capriate nello storico complesso dello Steri, un seminario promosso da Amnesty International e dall’Università di Palermo sulla grave situazione dei diritti umani e civili in Bielorussia. L’incontro è stato organizzato dal gruppo Italia 243 di Amnesty che si occupa dell’osservanza dei diritti nelle repubbliche ex-sovietiche.
Oggetto del convegno era la Bielorussia. Spesso definita “l’ultima dittatura d’Europa” , il Paese è l’unica nazione europea esclusa dal Consiglio d’Europa, l’organizzazione internazionale che si occupa di promuovere la libertà e la democrazia nel continente. L’avvocato e attivista Pavel Sapelko e la moglie del dissidente Ales Bialiatski, Natalia, hanno raccontato le loro esperienze al pubblico. Ales Bialiatski, della cui storia si è fatta portavoce la moglie, è uno degli 11 prigionieri politici bielorussi, in carcere con la falsa accusa di evasione fiscale. È detenuto in isolamento dal 2011. Il già strettissimo regolamento per i detenuti è inasprito dalle condizioni speciali applicate agli oppositori. Sulla carta sono previste all’anno due “visite lunghe” e tre “brevi” con i parenti; nella realtà, invece, Natalia nel 2013 ha avuto diritto a vedere il marito solo ad agosto per una visita breve (un colloquio via telefono separati da un vetro) e negli ultimi due anni solo una “visita lunga” è stata loro concessa. A questo si aggiungano le frequenti torture, perfettamente legali in Bielorussia, e le pessime condizioni sanitarie fonte di soventi malattie tra i prigionieri.
Ugualmente toccante è la testimonianza di Pavel Sapelko. Attivista dell’organizzazione politica Viasna, fondata tra gli altri da Bialiatski nel 1996, ha esercitato la professione di avvocato a Minsk fino al 2010. Occupandosi spesso di difendere gli oppositori politici, Sapelko è finito nelle mire della polizia segreta bielorussa, ancora denominata KGB. All’indomani delle imponenti manifestazioni del 2010 contro il governo, e la conseguente violenta repressione del regime, Sapelko ha deciso di difendere il leader dell’opposizione Sanikov, arrestato in quei giorni. Da quel momento sono iniziate le pressioni del KGB e del Ministero della Giustizia per far desistere l’avvocato, pressioni che hanno toccato il culmine quando, per la prima volta nella storia, il Ministero ha deciso di scavalcare l’ordine degli avvocati di Minsk ritirando la licenza per esercitare la professione a Sapelko e ad altri dieci suoi colleghi coinvolti in processi politici. Alle già tante limitazioni a cui sono sottoposti gli avvocati, si aggiungerà, dal 2014, una nuova legge che li porrà sotto il controllo dell’esecutivo, equiparandoli in tutto agli altri lavoratori bielorussi i cui contratti precari li rendono facilmente ricattabili in caso di opposizione al governo.
Non potendo più esercitare la professione forense, Sapelko, insieme a molti altri, ha deciso in ogni caso di continuare la sua lotta per la democrazia facendo l’attivista a tempo pieno. Cercando, così, di far prendere coscienza dentro e fuori dalla Bielorussia sulla gravità delle violazioni dei diritti umani perpetrate dal dittatore Lukashenko.