Pubblicato: mar, 29 Mag , 2018

Un allarmante inquinamento delle attività economiche

Un’ indagine della Procura di Pistoia fa emergere un preoccupante scenario di svuotamento dell’economia legale da parte di quella criminale.

 

Anche in Toscana le attività economiche vengono pesantemente inquinate dalle mafie, o comunque da una ragnatela di illegalità e di corruzione parallela o contigua o  fusa all’attività dei clan mafiosi. E’ quel che emerge dall’inchiesta della Procura di Pistoia che ha scoperto una consistente e notevolmente allarmante operazione criminale nella provincia pistoiese, ma che per gli stessi inquirenti potrebbe riguardare anche altre province della regione.

Una organizzazione di pregiudicati calabresi e toscani, mediante una serie corposa di reati, agevolava gli illeciti finanziari di imprenditori e faccendieri, favorendo bancarotte fraudolente, evasioni fiscali,  svuotava dei loro beni decine di aziende, le trascinava all’insolvenza, talvolta al fallimento. Era un sistema che prosperava da anni. Le risorse sottratte alle aziende di partenza venivano riciclate in altre imprese fallite o insolventi, così da poter proseguire l’attività commerciale, anche attraverso “prestanome” di comodo; talora le risorse distratte venivano trasferite all’estero. I faccendieri permettevano pure l’illecita permanenza di extracomunitari, perché ottenessero permessi di soggiorno e venissero erogate indennità di disoccupazione non dovute.

Il 23 maggio la Procura di Pistoia ha emesso 28 provvedimenti cautelari  a carico di altrettante persone per associazione a delinquere finalizzata all’intestazione fittizia di beni, all’autoriciclaggio, alla bancarotta fraudolenta, all’usura, alle estorsioni, alle assunzioni fittizie dirette alla truffa in danno dello Stato, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, all’evasione fiscale, alle false fatture. I principali manovratori, arrestati in carcere, erano l’ex commercialista Ignazio Ferrante, originario di Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria, ma ora domiciliato a Pieve a Nievole, già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso nell’inchiesta “Panta Rei” sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’Università di Messina, e l’imprenditore Demetrio Caracciolo, anche lui reggino e residente a Massa e Cozzile, con precedenti per un raggiro a danno dei gestori delle giocate Sisal.

Nell’inchiesta “Panta Rei” era stato coinvolto il clan di Giuseppe Morabito, superboss di Africo, nella Locride, ma radicato pure in Lombardia. E’ questo uno dei clan più potenti e noti della ‘ndrangheta. Del Morabito è nipote il calciatore Giuseppe Sculli. All’Università di Messina,  i mafiosi trafficavano la droga e con pesanti atti intimidatori, costringevano docenti ad essere compiacenti per far ottenere facilmente ai loro “protetti” lauree, il superamento di esami di maturità, l’ingresso alle Facoltà a numero chiuso; durante l’attività criminale è stato ucciso il professore universitario Matteo Bottari, con certa probabilità perché non volle sottostare alle intimidazioni.

Nell’indagine della procura di Pistoia sono stati emessi 28 provvedimenti cautelari: oltre i 2 arresti in carcere del Ferrante e del Caracciolo, 25 tra commercialisti e imprenditori hanno avuto imposti gli arresti domiciliari, 1 ha subito l’obbligo di dimora. Gli indagati sono in tutto 163, tra cui diverse persone in odore di criminalità. Tra coloro sottoposti alla misura degli arresti domiciliari figura Vincenzo Fera, noto commercialista residente a Serravalle Pistoiese e con studio professionale a Montecatini Terme, ma originario di Cittanova, in provincia di Reggio Calabria. Il Fera è già stato arrestato nel 2012 con l’accusa di bancarotte pilotate, un sistema inquietantemente simile all’attuale, e indagato nel 2017 sempre per bancarotte fraudolente e sempre per i medesimi sistemi malavitosi, questa volta in sodalizio con Paolo Rafanelli, presidente della Fidi Toscana, di cui è azionista la Regione Toscana; il Fera era l’amministratore delle tante società del Rafanelli, alcune delle quali operanti nel settore delle energie rinnovabili.

Il danno arrecato all’Erario e ai creditori delle aziende svuotate e costrette all’insolvenza è stimato in circa 50 milioni di euro: 20 sarebbero stati riciclati, anche con trasferimenti all’estero. Sono stati sequestrati 36 milioni di euro fra conti bancari e postali, immobili e 8 aziende di Borgo a Buggiano e Montelupo : 1 impresa edile, 1 di movimento terra, 1 paninoteca, 1 tabaccheria, 3 pizzerie, 1 ristorante.

Fulvio Turtulici

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