Pubblicato: mar, 17 Giu , 2014

Truffa dell’acciaio: Massimo Ciancimino estraneo alla progettazione

Accolta istanza di incompetenza territoriale di Ferrara: il processo passa nelle mani della Procura di Reggio Emilia

10376256_704883716223896_5636418710070677215_nLa competenza del filone principale dell’inchiesta sulla maxifrode dell’acciaio, riguardante l’ipotesi di reato di associazione a delinquere, verrà trasferita dalla Procura di Ferrara a quella di Reggio Emilia. È quanto stabilito ieri all’udienza svoltasi presso il tribunale di Ferrara, che ha quindi accolto le istanze di incompetenza territoriale avanzate dai legali di buona parte dei 34 indagati, tra i quali spicca il nome di Massimo Ciancimino, precedentemente ritenuto a torto l’ideatore della truffa che ha dato vita ad un’evasione fiscale di 130 milioni di euro.

 

Un ruolo di organizzatore in cui aveva creduto soltanto la Dda di Bologna, la quale un anno fa chiese e ottenne l’arresto per Ciancimino, salvo però perdere subito la competenza in quanto ritenuta non sussistente l’aggravante mafiosa che gli veniva contestata. L’aggravante dell’art.7 traeva origine da alcune intercettazioni tra lo stesso Ciancimino e Girolamo Strangi, affiliato della ‘ndrina Piromalli di Gioia Tauro. Fu così che per il figlio dell’ex sindaco di Palermo scattarono le manette e gli si aprirono le porte del carcere. Il tutto a poca distanza dall’inizio del processo Trattativa Stato-mafia, che vede Ciancimino jr nella doppia veste di imputato e testimone chiave. Il dubbio che quell’ordinanza di custodia cautelare venne emessa per delegittimare il suo ruolo, e ancor più quello della Procura di Palermo, è come minimo legittimo.

Ma si sa: i processi non possono certo fondarsi sulle sensazioni. Hanno bisogno di prove. Ciò che è certo è che da allora, grazie al lavoro dei pm della Procura di Ferrara Nicola Proto e Barbara Cavallo, la verità sul ruolo di Ciancimino nella vicenda della maxifrode dell’acciaio è andata via via emergendo. Ciò anche alla luce degli interrogatori dei coimputati, nonché delle dichiarazioni rese spontaneamente da Ciancimino agli inquirenti circa le proprie reali responsabilità, ossia l’aver continuato a lavorare per la società truffaldina anche dopo aver scoperto l’illecito che quelle persone operavano già mesi prima che egli venisse coinvolto. Il suo obiettivo era quello di recuperare i 550 mila euro che dagli stessi soggetti gli erano stati sottratti.

Totale estraneità, quindi, alla progettazione della frode, come documentalmente provato, nonostante l’iter iniziale che questa inchiesta stava disgraziatamente assumendo. Una montatura ad hoc, perché – è chiaro – il nome di Massimo Ciancimino non piace né a Caltanissetta né a Roma, salendo fino a Bologna. Personaggio scomodo e isolato e per questo ancora più facile da attaccare.

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