Pubblicato: ven, 6 Dic , 2013

Sei anni fa la strage alla ThyssenKrupp

Il rogo costò la vita a sette operai. Il processo ha visto la condanna per omicidio dei dirigenti, è la prima volta che accade

 

thyssenkruppPoco dopo l’una, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, nello stabilimento ThyssenKrupp di Torino, sulla linea 5, si scatena l’inferno. Un getto d’olio bollente, prendendo fuoco, investe otto tra gli operai  al lavoro, di questi 7 muoiono e solo uno si salva.

Già dal giorno dopo critiche pesantissime investirono la Thyssen. L’impianto di Torino era prossimo alla chiusura e l’accusa è che la proprietà già da tempo aveva smesso di investire nella sicurezza e nella manutenzione della struttura, i manicotti degli idranti non funzionavano bene, gli estintori erano scarichi e non era presente personale specializzato. L’azienda provò a ribaltare le accuse addossando la colpa agli operai morti, in un primo momento arrivò a parlare di “colpe” delle vittime, salvo poi ripiegare su un meno oltraggioso “errori dovuti a circostanze sfavorevoli”.

Le indagini della Procura di Torino si chiusero presto e il processo ebbe inizio nel gennaio 2009. Alla sbarra erano presenti 6 dirigenti della Thyssen e questa come persona giuridica, la grave accusa è quella di omicidio volontario e incendio doloso per l’amministratore delegato, omicidio e incendio colposo per gli altri 5 dirigenti. Il procedimento non vede i familiari delle vittime tra le parti civili dato che queste avevano accettato un risarcimento di 13 milioni da parte della multinazionale tedesca, preoccupata evidentemente di dover pagare una somma ben superiore in caso di condanna.

Il 15 aprile 2011 la Corte d’Assise torinese accoglie le tesi dell’accusa condannando a 16 anni di carcere l’a.d. Herald Espenhahn e a pene che variano dai 13 ai 10 anni gli altri dirigenti. Questa è stata una decisione storica, è la prima volta che un tribunale riconosce l’omicidio volontario per il dirigente che mette a rischio i suoi operai omettendo, volontariamente e per puro calcolo economico, di porre in pratica le più elementari misure di sicurezza.

Il 28 febbraio di quest’anno la Corte d’Appello ha riformato parzialmente, scatenando forti proteste, il giudizio di primo grado: l’omicidio, per l’a.d., da volontario è stato derubricato a colposo, riducendo così le pene anche per gli altri imputati. Espenhahn dovrà scontare 10 anni, i membri del cda, Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 7 anni, il direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno, ed il responsabile della sicurezza, Cosimo Cafueri, 8 anni, mentre 9 anni sono stati inflitti per il dirigente Daniele Moroni.

Il giudizio della Cassazione, che sarà a sezioni unite, è atteso per la prossima primavera. Indipendentemente dall’esito ultimo del processo, la sentenza di primo grado, ancorché in parte modificata, è di portata storica. L’aver riconosciuto l’omicidio volontario è un deciso balzo in avanti nella difesa sostanziale della sicurezza dei lavoratori, in un Paese che, anche se spesso non se ne parla, ha nelle cosiddette “morti bianche” una grave patologia. Sono state più di 5000 le vittime sul lavoro dal 2008 ad oggi, un numero che consegna all’Italia un vergognoso primato in Europa. Nonostante i miglioramenti degli ultimi anni la strada è ancora lunga se si pensa che molti paesi europei hanno una media di vittime uguale a  circa un terzo rispetto quella italiana.

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