scambio elettorale politico – mafioso.
Voto di scambio: art. 416 ter C P e legge Lazzati
Il dibattito sull’influenza della criminalità organizzata nella campagna elettorale è ritornato di stringente attualità all’indomani delle prime sentenze emesse successivamente all’entrata in vigore del nuovo art. 416 ter c.p., rubricato appunto “scambio elettorale politico – mafioso”. La Suprema Corte ha infatti stabilito (cfr.: Cass. pen., sez. VI, 3.06.2014, n. 36382) che le modalità di procacciamento dei voti debbono costituire oggetto del patto di scambio politico-mafioso, in funzione dell’esigenza che il candidato possa contare sul concreto dispiegamento del potere di intimidazione del sodalizio mafioso e che quest’ultimo si impegni a farvi ricorso. L’andamento dei lavori preparatori fa infatti ritenere, sempre secondo la Corte di Cassazione, che la modalità di procacciamento sia stata ritenuta “funzionale all’esigenza di punire non il semplice accordo politico-elettorale del candidato o di un suo incaricato con il sodalizio di tipo mafioso, bensì quell’accordo avente ad oggetto l’impegno del gruppo malavitoso ad attivarsi nei confronti del corpo elettorale con le modalità intimidatorie tipicamente connesse al suo modo di agire”. Questo principio è stato sostanzialmente ribadito anche dalla recentissima sentenza, sempre della VI sezione, depositata il 9.9.2014, n. 37374/14, che pur affermando che le modalità di procacciamento rimangono esterni alla fattispecie che si perfeziona al momento del patto di scambio, conferma che chi, per proprie esigenze elettorali, promette denaro ad una organizzazione criminale mafiosa, deve essere consapevole della sua natura e dei metodi che la connotano.
La Cassazione ha così delineato in modo autorevole l’ambito di operatività dell’art. 416 ter c.p. che, diversamente dai migliori auspici, pur rappresentando un indubbio passo in avanti, sembra mantenere sostanzialmente invariate le perplessità sulla sua reale capacità di fornire all’autorità giudiziaria un valido strumento per perseguire il perverso legame fra politica e mafia. E’ del tutto evidente che è rimasto deluso e smentito chi immaginava, in totale buona fede, che tale fattispecie potesse rappresentare una svolta nella lotta alla criminalità organizzata e che avesse resa obsoleta la battaglia che da oltre vent’anni il Centro Studi Lazzati, fondato dal giudice Romano De Grazia, sta conducendo per l’approvazione integrale del c.d. disegno di legge Lazzati.
Il disegno di legge Lazzati, come noto, prevede il divieto per il sorvegliato speciale di poter fare propaganda elettorale punendolo, in caso di violazione, con sanzione penale. La sanzione penale, con conseguente interdizione dai pubblici uffici, ineleggibilità e decadenza dalla carica, viene estesa anche al candidato che la richiede o la sollecita.
Tale norma, introdotta nel nostro ordinamento con L. 13.10.2010, n. 175 e poi inserita agli artt. 67, VII co, e 76, VIII e IX co, D.L.vo n. 159/2011 (codice antimafia), ha finalmente posto rimedio ad una evidente lacuna nell’ordinamento italiano che pur privando espressamente il sorvegliato speciale da qualunque diritto di elettorato sia attivo che passivo, nulla diceva sulla capacità/possibilità di fare propaganda elettorale.
Purtroppo, durante il dibattito parlamentare l’originario disegno di legge è stato parzialmente modificato con l’introduzione di alcune incongruenze che ne hanno ridotto la portata applicativa:
1) con l’indicazione della propaganda elettorale ai sensi della legge 4 aprile 1956, n° 212, l’attività vietata sembra circoscriversi all’affissione di manifesti e alla distribuzione di volantini (è assolutamente fuori dalla realtà che durante le competizioni elettorali i boss e i loro accoliti vadano in giro distribuendo volantini o affiggendo manifesti);
2) eliminando quanto alla propaganda l’inciso “in favore o in pregiudizio di simboli o liste” il divieto è inapplicabile alle competizioni politiche in occasione delle quali allo stato il voto di preferenza non è consentito.
Va detto che al momento del voto finale tali aporie erano state evidenziate ma data la fortissima resistenza che tale legge aveva incontrato, il relatore e lo stesso Governo (seduta al Senato del 06/10/2010, rappresentante del Governo il sottosegretario Davico) hanno preferito, per evitare nuove letture, non correggere il testo ma approvare una sorta di “ordine del giorno interpretativo” con la promessa, poi resasi vana, di un veloce emendamento del testo in occasione dell’approvazione del c.d. “Codice antimafia”.
Le modifiche emendative sono state riproposte successivamente ma hanno trovato resistenza finora con motivazioni pretestuose o quantomeno superficiali. In ultimo l’opposizione si è concentrata proprio sulla presunta inutilità della c.d. Legge Lazzati data la sopravvenuta approvazione della modifica dell’art. 416 ter c.p.. Il recentissimo indirizzo giurisprudenziale ha una volta per tutte spazzato via tale critica dando così ragione ai numerosi appelli rivolti da Romano De Grazia sulla piena vitalità e validità del disegno Lazzati e sulla sua complementarietà rispetto all’impianto codicistico.
Mentre il 416 ter c.p. vuol colpire un metodo (quello di intimidazione mafiosa) di procacciamento del consenso elettorale, la legge Lazzati invece vuol impedire che soggetti, già dichiarati socialmente pericolosi per la loro contiguità/appartenenza alla criminalità organizzata, possano fare propaganda elettorale. I vantaggi applicativi appaiono del tutto evidenti: nel primo caso sarà necessario acquisire la prova dell’esistenza della promessa e soprattutto del metodo; nel secondo caso invece è sufficiente che le forze dell’ordine, che già hanno l’obbligo di controllare i sorvegliati speciali, acquisiscano la prova della propaganda elettorale.
Chi vive nel territorio dove prolifera la mafia, chi abita nei quartieri, nei paesi nelle cittadine a forte infiltrazione mafiosa conosce perfettamente chi è un capo mafioso e sa perfettamente che a volte è sufficiente “l’attivarsi” per un candidato, per un simbolo o una lista a far conseguire un risultato elettorale; non è certamente necessario alcun patto di scambio e/o consapevolezza, neanche “ambientale”, di atti di intimidazione o di assoggettamento. Se anche si dovesse seguire il più rigoroso indirizzo giurisprudenziale che ritiene sufficiente la consapevolezza c.d. “ambientale” ad integrare il requisito del “metodo mafioso”, ferma rimane la necessità della prova del patto. Quando non vi è la prova dello “scambio” l’art. 416 ter c.p. non può essere applicato. La legge Lazzati invece prescinde da tutto ciò e va a colpire il mafioso nel momento della raccolta del consenso elettorale; vuol impedire che la mafia faccia propaganda per questo o quel candidato o partito; vuol impedire sin dal momento fisiologico della raccolta dei voti la possibilità che nasca un legame con il politico. La legge Lazzati non ha come finalità precipua quella di colpire il rappresentante del popolo o l’esistenza di un accordo perverso, ma quella di impedire che la mafia diventi soggetto politico. E’ questa la felice intuizione del dott. De Grazia che, con una semplice e veloce norma, vuol cercare di impedire alla radice che la mafia possa vantare una benemerenza con il politico di turno, possa alterare o comunque incidere sulla democrazia, che ha nel momento elettorale la sua massima esplicazione.
Tali considerazioni sono talmente evidenti che risultano incomprensibili le opposizioni, gli atteggiamenti equivoci, le freddezze che la legge Lazzati ed i tentativi di emendarne i difetti hanno incontrato e continuano ad incontrare anche presso associazioni che tanto hanno dato e continuano a dare nella lotta contro la criminalità organizzata.
Per riassumere, come ripetutamente scritto dal compianto Prof. Vittorio Grevi, la legge Lazzati nel suo testo originario colma una lacuna del sistema:
1) perché consente di sanzionare i pur emersi rapporti elettorali intercorsi tra malavitoso sottoposto alla misura della sorveglianza speciale e quelli del suo clan con il candidato di pochi scrupoli, prescindendosi dal rapporto sottostante – do ut des, do ut facias -;
2) perché, altro rilevante effetto, previene o meglio evita il provvedimento di scioglimento dell’assemblea dell’ente elettivo, consentendo la individuazione sin dalla competizione elettorale del candidato appoggiato dalla mafia (necessariamente il nome di questi deve essere propagandato per poi essere votato)
E’ inoltre di tutta evidenza, come in precedenza detto, la complementarietà della legge Lazzati alla normativa di cui agli artt. 416 bis e 416 ter C P. La legge Lazzati si applica al momento elettorale, prescinde non solo dalla dimostrazione della ragione per la quale politico e malavitoso hanno deciso l’accordo elettorale, ma dalla stessa esistenza di un patto e si raccorda con la menzionata normativa nel senso che se vi fosse sin da subito dimostrazione dell’intervenuto accordo e del suo illecito contenuto il PM procederebbe a carico dell’uno e dell’altro (malavitoso e candidato) ai sensi degli artt. 416 ter e 416 bis C P. Se invece tale prova non vi fosse o se addirittura non sussistesse un previo accordo fra malavitoso e politico solo la legge Lazzati potrebbe trovare spazi operativi perché avrebbe la capacità di colpire anche solo il mafioso.
Si ripete, infatti, che la legge Lazzati ha come obiettivo quello di impedire che i soggetti socialmente pericolosi, così riconosciuti e dichiarati dall’autorità giudiziaria, possano tranquillamente fare propaganda elettorale alla ricerca di consensi per questo o quel candidato o lista o simbolo. In tal modo, se ne si ha la voglia, si toglie la politica ai delinquenti e la delinquenza ai politici.
Con ciò, con il ribadire cioè la piena e completa vitalità del disegno Lazzati non si vuole affermarne la perfezione; è evidente infatti che ogni testo legislativo è suscettibile di miglioramento (pur se già passato al vaglio di grandissimi giuristi come Cesare Ruperto, Federico Stella e Vittorio Grevi) e per questo vi è totale disponibilità di ascolto e di confronto per cercare di restituire alla legge Lazzati l’iniziale capacità applicativa e coerenza con l’ordinamento giuridico; ciò che è invece incomprensibile è il rifiuto di discuterne apertamente e senza riserve mentali.
Per un dettaglio sul contenuto degli artt. 67 e 76 del D.L.vo n. 159/2011 e sulle modifiche proposte in parlamento si rinvia ai documenti allegati.
Allegati:
1) estratto D.L.vo n. 159/2011
2) proposta di legge n. 660 del 4.4.2013.
Dott. Romano De Grazia Presidente Aggiunto Onorario Suprema Corte di Cassazione e Pres. Centro Studi Regionale G. Lazzati
Prof. Avv. Marco Angelini docente di diritto penale dell’economia Università di Perugia