Petrolio e gas nell’Adriatico, Italia in ritardo
È partita da tempo la corsa per sfruttare le ingenti riserve di gas e petrolio sotto il Mar Adriatico. La Croazia è in vantaggio e l’Italia rischia di accollarsi i danni ambientali senza avere vantaggi
Ne ha parlato qualche giorno fa Romano Prodi su Il Messaggero, scatenando il dibattitto nell’opinione pubblica, ma la questione è ben presente, da molto tempo, agli addetti ai lavori, Governo ed esperti. Nel Mar Adriatico ci sarebbero ingenti riserve di petrolio e gas. L’Italia potrebbe, semplicemente sfruttando i progetti già individuati ed esistenti, arrivare ad estrarre, entro il 2020, fino a 22 milioni di tonnellate, ovvero raddoppiare l’attuale produzione nazionale che già copre circa il 10% del fabbisogno. Una produzione che potrebbe aumentare esponenzialmente dato che le stime parlano di riserve di circa 15 miliardi di tonnellate equivalenti nell’Adriatico.
Una vera miniera d’oro per l’Italia e l’occasione per essere meno dipendenti dall’estero per gli idrocarburi. Una miniera da cui rischiamo di non aver alcun vantaggio. Se in Croazia il Governo ha già diviso le acque territoriali in 29 “spicchi” ed è in trattativa con le maggiori compagnie per avviare l’estrazione, pregustando ricchissime royalties ed indipendenza energetica, «faremo della Croazia una nuova Norvegia» ha detto il ministro degli Esteri croato. In Italia ogni progetto è bloccato per le più disparate, e solite, ragioni. Dalla sindrome nimby, all’ambientalismo di maniera buono da sventolare sotto elezioni fino al complesso, bizantino e incoerente quadro normativo che fa andare al rilento ogni progetto (senza però impedire abusi e malaffare). In pratica l’Italia si sta mettendo nella posizione di chi rischia il danno ambientale, qualora ci fosse un incidente in una piattaforma croata la chiazza di petrolio non si fermerebbe certo al confine, senza però trarre alcun beneficio dalle ingenti quantità di gas e petrolio che verrebbero sfruttati solo dai nostri vicini croati.
Non solo benefici di tipo economico derivanti dalle royalties, dai vantaggi per l’ENI, la più grande e redditizia azienda pubblica italiana, e dal dover pagare di meno (tutti, soprattutto le imprese) l’energia ma anche, e soprattutto, diminuire la dipendenza energetica dall’estero specie se si pensa che lo siamo da Russia e Libia, forniture che potrebbero essere a rischio nell’immediato futuro e che costringerebbero l’Italia a rifornirsi altrove ad un prezzo più alto.
Il dossier Adriatico è nelle mani del Governo. È anche in quest’ottica, quindi, che vanno lette le modifiche al titolo V che fanno ritornare in capo allo Stato la competenza esclusiva sull’energia e le recenti dichiarazioni del sottosegretario all’Ambiente Silvia Velo: «È superfluo ricordare che la valutazione d’impatto ambientale dei progetti presentati non può essere preconcetta e basata esclusivamente sul “sentito” dell’opinione pubblica e sulle pur legittime istanze degli amministratori territoriali locali» .