Niente processo per i colossi della tecnologia e degli algoritmi: patteggiano e risparmiano
Google, Apple, Intel e Adobe si erano accordati tra il 2005 e il 2009 per non rubarsi i talenti a vicenda. Oggi hanno deciso di non andare a processo che rischiava di far pagare loro fino a 9 miliardi di dollari
Avevano suscitato l’indignazione dei lavoratori quelle mail del 2007 tra il visionario Steve Jobs e il più alto dirigente della Palm, fino a qualche tempo fa società leader nel campo dei personal digital assistant, Edward Colligan, in cui il numero uno della Apple scriveva : «Sono sicuro che in caso di controversia giudiziaria si renda conto dell’asimmetria in termini di risorse finanziarie delle nostre rispettive compagnie quando lei scrive finiremo per pagare un sacco di avvocati e un sacco di soldi».
A queste parole rispondeva contrariato Colligan: «La vostra proposta di metterci d’accordo perché nessuna delle nostre due imprese assuma i dipendenti dell’altra non è soltanto malvagia, è probabilmente illegale». Non voleva mettere nero su bianco invece, Eric Schmidt, l’ex amministratore delegato di Google, il quale avrebbe confessato ad un suo top manager di avere raggiunto un accordo con i concorrenti, ma solo «verbalmente perché non voglio creare prove su carta attraverso le quali qualcuno in futuro ci potrà citare a giudizio». Decidevano i salari dei dipendenti talentuosi per non farli liberamente slittare da un’azienda all’altra. Bloccando il tetto dello stipendio degli ingegneri, hanno violato le leggi dell’antitrust, del libero mercato che sembra essere ricordato solo in casi circoscritti, quando fa comodo alle potenze economiche e mai ai lavoratori. Si sono uniti quindi in una class action 64.000 dipendenti della Silicon Valley, costringendo di fatto i colossi ad accordarsi piuttosto che a presentarsi davanti ad un giudice e ritrovarsi a dover spiegare il sistema che tramavano per non strapparsi i talenti e vicenda e mantenere stipendi più bassi, costituendo un vero e proprio cartello in barba alla meritocrazia da sempre elogiata dal sogno americano. «È una eccellente soluzione del caso che porterà benefici ai membri della class action», ha detto il legale dell’accusa Kelly M. Dermody. E ne porterà anche agli imputati che se avessero deciso di presentarsi davanti alla corte il 27 maggio, avrebbe rischiato di pagare dai 3 ai 9 miliardi di dollari. Adesso hanno un’intesa che secondo una fonte del Wall Street Journal ammonta a 1 miliardo di dollari. Nell’era dei grandi potenti del web e della tecnologia, il sogno americano sembra si stia trasformando in un incubo in cui meritocrazia e diritti affogano.