Pubblicato: sab, 22 Gen , 2022

L’oro avvelenato del Perù.

Miniere, multinazionali e la forza dei campesinos.

 

Maxima Acuña Chaupe vive in Tragadero Grande Las Posadas, a 4.200 mt s.l.m., nelle Ande peruviane. Il caso vuole che il suo fazzoletto di terra sia anche nel cuore del Mineral-Conga, il progetto di espansione di Yanacocha, proprietà della statunitense Newmont Mining Corporation, la più grande società di estrazione dell’oro del mondo. La Compagnia detiene anche la concessione esclusiva per lo sfruttamento della miniera più grande dell’America Latina, situata nella provincia di Cajamarca, circa 800km a nordest di Lima. Il progetto nasce dalla jointventure tra Newmont (51,35%), Minas Buenaventura (43.65%) e l’International Finance Corporation, agenzia della World Bank (5%). L’International Finance Corporation è il braccio di prestito privato della Banca Mondiale, che dovrebbe essere volta a promuovere lo sviluppo economico con investimenti in progetti commerciali a scopo di lucro per la riduzione della povertà e la promozione dello sviluppo; raggiungere migliori standard di vita e fruizione di servizi essenziali, creazione di mercati accessibili; creare posti di lavoro, aumentare le opportunità di agricoltura sostenibile, migliorare l’assistenza sanitaria e l’istruzione, far progredire le infrastrutture, investire nella salute del clima.

Nel 1993 Yanacocha inizia lo sfruttamento del giacimento senza sosta, dal 1996 si allarga anche alla provincia di Celendin, 77km da Cajamarca, dove ha iniziato ad arraffare tutte le terre possibili, con un investimento di 4,8 milioni di dollari, comprando perfino le strade pubbliche.

Nelle zone andine le terre sono proprietà delle Comunità che le danno in concessione ai contadini. Si può vendere solo se i 2/3 della collettività firmano il consenso congiuntamente a chi detiene il possesso della singola parte. In quegli stessi anni (1994-96), Yanacocha ha comprato centinaia di ettari direttamente dalla comunità di Sorochuco, tra cui avrebbe dovuto esserci anche il terreno di Máxima. Lei però non è stata interpellata, né ha rilasciato il consenso e non è disposta ad andarsene.

Nel 2010 la multinazionale decide per il progetto di espansione totale (il Mineral-Conga) con l’obiettivo di diventare una delle miniere d’oro a cielo aperto più grande del mondo. Yanacocha cerca, quindi, di cacciare la donna con la forza: il 9 agosto del 2011, con l’aiuto della polizia, entra nel suo terreno con le ruspe e sgombera coattivamente la zona, distruggendo tutto. Maxima non cede, viene denunciata assieme alla sua famiglia per occupazione abusiva. Non si lascia intimidire, dopo quattro anni di giudizio, il 17 dicembre 2014 viene riconosciuta innocente ed in possesso del proprio terreno dal Tribunale di Cajamarca. Proseguono le vessazioni e gli atti intimidatori, raccolti rovinati, animali avvelenati; droni e uomini armati onnipresenti.

La vita nelle ande peruviane non è facile, poche anche le tutele dal punto di vista legislativo. Infatti, gli artt. 51.1 e 51.2 della legge 27238 – Ley Organica de la Policia Nacional del Perù, consentono gli accordi tra la polizia dello Stato ed i privati: la forza pubblica può fornire a un’impresa fino a 30 uomini al giorno per la protezione di persone, beni e/o installazioni. I poliziotti possono essere contrattati durante il loro normale orario di lavoro (dando una percentuale al singolo e all’ente), oppure nel loro tempo libero (pagando solo il soggetto chiamato). Yanacocha si avvale di Securitas, un’impresa di sicurezza privata armata, e della polizia nazionale peruviana, che all’occorrenza può essere appunto privatizzata. Mirtha Vasquez, originaria di Cajamarca e avvocato di Máxima, ha fornito assistenza ad oltre 300 contadini. Alcuni di loro hanno più di 50 denunce pendenti: “Yanacocha usa lo strumento legale e la violenza contro chi mette in discussione il suo operato. Il tutto con il beneplacito delle autorità del nostro Stato”. Gli abitanti della zona non vogliono un’ulteriore espansione della miniera. Numerose le proteste anche in piazza, ma lo Stato li tratta come nemici pubblici da reprimere. A Cajamarca negli scontri del 2012, contro la politica estrattiva del presidente Humala Ollanta, molti campesinos vennero uccisi. Lo Stato centrale scatenò la Dinoes, Divisione delle Operazioni Speciali del Corpo di Polizia, nata per fronteggiare terrorismo, narcotraffico e criminali ad alta pericolosità. Humala ammise: la protesta dei cittadini doveva essere colpita come il nemico in guerra. Negli anni successivi sono proseguite le contestazioni, quasi sempre messe a tacere con la repressione armata.

Anche nel mese scorso non si contano le numerose proteste: contro due compagnie minerarie ad Ayacucho, nel sud del Perù, dove i loro campi sono stati bruciati e saccheggiati. Ad Apurimac e Cuzco. La rabbia si riverbera in tutti i piccoli centri abitati delle Ande peruviane, che vedono la ricchezza della loro terra depauperata da stranieri, passare davanti la loro porta senza portare alcun beneficio, costringendoli ad una vita miserabile e di stenti. “Pero nada nos deja, nada nos deja, nada somos”. Tensioni aI giacimento di Antamina, nella regione di Ancash, dove si estrae rame, argento e zinco. La comunità contadina ha denunciato l’usurpazione della terra che le appartiene e chiede migliori condizioni sociali, bloccando il percorso attraverso il quale passa il gasdotto per il trasporto di minerali. E ancora, i manifestanti appartenenti alle comunità delle province di Chumbivilcas, nel Sud del Paese, hanno bloccato per oltre un mese una strada utilizzata dall’azienda che gestisce il giacimento di Las Bambas, fermando la produzione della miniera che contribuisce per circa il 2% alla fornitura mondiale di rame (dicembre 2021). La miniera è stata un focolaio di proteste sin dal 2016, con blocchi che hanno colpito la strada in entrata e in uscita per oltre 400 giorni da quando ha iniziato le sue operazioni; decine di morti e feriti scaturiti dalle manifestazioni contro il progetto multimiliardario della miniera di proprietà cinese.

Mentre gli abitanti si oppongono con tutte le loro forze alle miniere, il Governo peruviano è aperto alla presenza di investitori stranieri, soprattutto statunitensi e cinesi. Oltre il 20% del territorio peruviano è in concessione ad aziende minerarie e non vige un’imposta fissa per il diritto di estrazione. Il Perù è il settimo produttore al mondo, i suoi giacimenti costituiscono la quarta riserva più ricca, preceduta da Australia, Russia e Stati Uniti. Secondo le stime di United States Geological Survey, nel 2020 in Perù sarebbe stato estratto il 4% del totale mondiale.

L’Amazzonia è una delle zone con la maggiore concentrazione di biodiversità del pianeta, oltre a un eccezionale numero di specie rare di animali e piante, come il giaguaro (Panthera onca) e l’armadillo gigante (Priodontes maximus); nel cuore della foresta pluviale vivono anche alcune delle ultime popolazioni incontattate. Un posto tanto meraviglioso dilapidato per la corsa all’oro e ai metalli. Deforestamento, dispersione di tonnellate di mercurio e cianuro, inquinamento di terreni e falde acquifere. La terribile realtà dei “fiumi gialli” è resa anche dalla foto satellitare della Nasa (2020). Il Monitoring of the Andean Amazon Project (MAAP) stima che ad oggi siano stati deforestati oltre 860.000 ettari di foresta, con la maggior concentrazione in Brasile (79%) Perù (7%) Colombia (6%) MAAP (maaproject.org).

Il progetto Conga prevedeva la distruzione delle lagune per la realizzazione di due miniere a cielo aperto, due depositi di materiali di scavo, quattro bacini artificiali, facendo tabula rasa dei 3.000 ettari di flora e fauna circostanti. I laghi naturali fanno parte di un bacino idrogeologico da cui nascono i cinque fiumi che danno vita alle tre province limitrofe; eliminarli significa pregiudicare l’irrigazione di circa 25mila ettari.

Maxima Acuña Chaupe vive senza luce, sistema fognario, acqua corrente e senza riscaldamento, ma non rinuncia alla sua terra e alla lotta per il suo paese, così vilmente deturpato. Mineral-Conga è un progetto polimetallico: oro, argento e rame. Gli uomini della vigilanza privata della Yanacocha continuano ad attaccare la donna, devastando il suo terreno per rimuovere ogni costruzione o attività, distrutto il recinto per i porcellini d’india, capanni polverizzati, animali uccisi. Le rimangono solo la sua casetta, due pecore e due cani. I sentieri montani sono stati ostruiti, l’unico passaggio possibile è la strada di proprietà dell’azienda, con tanto di avamposto dove la vigilanza controlla e fotografa ogni suo movimento. Il terreno è stato recintato con rete metallica, quasi un carcere, e vi sono tutto intorno militari che li tengono sotto tiro. Maxima però è ancora lì, a salvaguardia delle terre, nonostante le violenze fisiche e psicologiche, le intimidazioni e le minacce che subisce quotidianamente. Nel 2015 circa 200 poliziotti fanno irruzione nel suo campo, demolendo la casa; mentre l’anno dopo sono le forze di sicurezza della Yanacocha a distruggerle il raccolto. A lei va il Premio Goldman per l’Ambiente, il Nobel dell’Ecologia del 2016. Nel maggio 2017 la Corte suprema di Giustizia ha riconosciuto alla famiglia Acuña Chaupe la proprietà dei circa 25 ettari contesi. Tuttavia, la multinazionale ha annunciato di mantenere aperte altre istanze contro di lei, senza sospendere aggressioni e intimidazioni. Ancora lo scorso anno, la famigliola di campesinos ha denunciato l’avvelenamento di più di mille trote da loro allevate. Nel 2020 il Tribunale Costituzionale ordina a Yanacocha di rispettare il diritto alla privacy della famiglia, rimuovendo la videocamera di sorveglianza collocata a 300 metri dalla sua abitazione e astenendosi dall’uso di droni sul suo appezzamento.

Il progetto Conga è per ora sospeso, ferma l’opposizione di Maxima e continue le proteste della popolazione, con la sempre crescente preoccupazione per la distruzione dei quattro laghi di montagna, che forniscono ai contadini di cinque vallate l’acqua per bere, per l’agricoltura e per l’allevamento.

Inoltre, i processi di estrazione aurifera producono una grande quantità di effluenti liquidi che vengono scaricati vicino alle case senza alcun metodo di prevenzione dell’inquinamento da mercurio. I fanghi contengono ancora una certa percentuale d’oro, le aziende ne proibiscono la vendita per proseguire la loro raffinazione con trattamento al cianuro la cui la contaminazione si aggiunge a quella del mercurio. A livello globale, l’estrazione dell’oro è tra le prime cause di inquinamento da mercurio nei corsi d’acqua provocato da attività umane (almeno mille tonnellate l’anno secondo le stime dell’Onu). Già nel 2000, la grande quantità di rifiuti delle miniere era arrivata ad inquinare l’acqua della comunità di San Josè, tanto da renderla oggi inutilizzabile. Una ricerca dell’Università di Barcellona conferma che gli abitanti di Cajamarca stanno mangiando e bevendo ogni giorno metalli pesanti, principalmente piombo, arsenico e cadmio. Nello stesso senso anche i recenti risultati frutto delle analisi degli scienziati di Source International, da 10 anni impegnati a seguire il caso di un altro paese peruviano, Cerro de Pasco. L’inquinamento da piombo  provoca un danno permanente e irreversibile alla crescita cognitiva dei bambini andini. Nei loro capelli sono stati riscontrati concentrazioni di piombo 42 volte superiori a quelle dei coetanei tedeschi e concentrazioni elevatissime di 17 differenti metalli pesanti, molti dei quali tossici e cancerogeni, tra cui arsenico, mercurio e tallio. Questo significa che oltre alle patologie mortali (soprattutto tumori e leucemie), si potranno riscontrare anche ritardi nell’apprendimento, difficoltà di concentrazione, dipendenze da droghe o alcool, comportamenti violenti. Il collegamento tra consumismo, inquinamento e qualità di vita è più che diretto. Anche a Cerro de Pasco il 100% dei minerali estratti dalle cave, la cui miniera è controllata da una multinazionale con sede in Svizzera, viene esportata. In Perú rimane poco o nulla della ricchezza prodotta, solo scorie e inquinamento, che fanno ammalare tutta la popolazione (Nature 23/11/2021 Heavy metal contamination in Peru: implications on children’s health | Scientific Reports (nature.com ). Le tavole da 22 kg con il 30% di oro e 70% di argento, però, volano negli impianti di raffinazione della Newmont in Svizzera e delle altre società, dove vengono trasformate in lingotti di oro puro, alimentando le industrie orafe ed il circuito delle Banche Nazionali.

La Yanacocha promette benessere e ricchezze, ma Cajamarca è una delle regioni più sofferenti del Perù, con il 52% della popolazione ridotta in povertà. In generale, le miniere sono prive di vere e proprie autorità governative, gli operai sono estremamente esposti al lavoro forzato e alla servitù per debiti. Masticano foglie di coca per affrontare fatica e altitudine, comprano dinamite per rompere la roccia, sigarette senza filtro e alcool a basso costo.  All’interno dei tunnel i minatori respirano arsenico, acetilene, diossido di silicio. In molti si ammalano di silicosi dopo pochi anni. Sfollati, minoranze e singoli individui privi di documenti spesso scelgono le miniere per mancanza di alternative. Si stima, però, che circa un terzo dei lavoratori nelle miniere sia costituito da bambini. Già anni fa, il difensore civico nazionale della Bolivia, Rolando Villena, aveva denunciato l’aumento terrificante della tratta umana e come nella regione mineraria di Potosí, in Perù e in Argentina, i bambini possono essere acquistati per una cifra che va dai tre ai sette dollari. Aveva suscitato orrore anche il massacro della tribù indigena yanomami, barbaramente uccisi dai ricercatori di oro, e in tempi più recenti alcuni dei suoi membri sono stati trovati con dei numeri tatuati sulle spalle come schiavi. Scenari che pensiamo lontani dall’attualità, invece nell’ottobre 2021 si è avuta notizia della morte di alcuni bambini yanomami, travolti da un’esondazione di una miniera illegale (Centro de Información sobre Empresas y Derechos Humanos).

Le miniere d’oro rappresentano sempre più spesso anche centri di lavoro illegali, controllati dalla criminalità organizzata. Circa il 30% dell’oro prodotto annualmente in Perù, tra le 40 e le 60 tonnellate, è di origine illecita. La metà della produzione illegale, che muove un giro d’affari di oltre 3,5 miliardi di dollari l’anno, arriva dalla regione amazzonica di Madre de Dios, all’interno della Riserva Nazionale di Tambopata, la Pampa, da oltre un decennio emblema dell’estrazione illegale. Qui regna la legge del più forte e abbondano gli omicidi, alcune delle fosse comuni ritrovate danno solo un’idea di quel che avviene. A tessere dall’alto le fila dell’estrazione illegale dell’oro peruviano sono, in parte, i cartelli del narcotraffico. Dalle indagini sono emersi fitti collegamenti anche con la ndrangheta italiana, che ha acquistato grosse percentuali di concessioni aurifere in Perù, come in Venezuela e Colombia. Dagli ultimi rapporti dell’Interpol emerge come il crimine organizzato si sia affermato nell’estrazione dell’oro, nelle Americhe come in Africa centrale. Clan collegati a livello internazionale hanno fiutato l’affare e ne cavalcano l’aumento del valore, complice la pandemia di covid19. In America Latina l’estrazione aurea è pure un’attività artigianale. Alcune piccole miniere sono esistite per decenni, echi del saccheggio dei conquistadores. Benché l’attività mineraria su scala ridotta non sia di per sé illegale, il settore è in larga parte informale e privo di regolamentazione, particolarmente esposto alle infiltrazioni criminali. Quasi ogni settimana spunta una nuova miniera (si stima che in Colombia ve ne siano oltre 17mila, in Perù 6 mila). L’estrazione illegale è anche uno dei modi più semplici e redditizi per riciclare il denaro. La natura e le dimensioni del mercato, la forte dipendenza di quest’ultimo dai pagamenti in contanti, la possibilità di vendere e comprare l’oro in forma anonima, la difficoltà nel tracciare e verificare le transazioni, fornisce un meccanismo per convertire il denaro sporco in un bene da reinvestire caratterizzato da stabilità, anonimato e facile commerciabilità.

Le lusinghe dell’oro richiamano orde di ricercatori anche nei territori più impervi, da nord a sud del paese la situazione di estrema povertà non cambia. La Rinconada, detto il paradiso del diavolo, situata tra i 4900 e i 5100 metri sul livello del mare, è il centro abitato più alto del mondo. Un’altitudine estrema che indurisce anche le condizioni climatiche, con temperature spesso sotto lo zero. Questo nido d’aquila si erge tra le Ande, nel distretto di Ananea della provincia di San Antonio de Putina, un centinaio di chilometri più a nord del lago Titicaca. La successione di baracche e umanità che la compongono è adagiata ai piedi del ghiacciaio Auchita. Fino a qualche decennio fa, La Rinconada era un paesino per lo più nascosto, oggi sotto i tetti di lamiera si affollano oltre 70 mila persone, con prevalenza di indigeni quechua e aymara. Senza acqua corrente, riscaldamento e nemmeno rete fognaria. Una discarica a cielo aperto. Incendi continui per smaltire i rifiuti, esalazioni tossiche, scarpate intere riempite di qualsiasi cosa. Condizioni aberranti, avvelenati dalle sostanze chimiche utilizzate per le estrazioni. L’elettricità è arrivata nel 2002, ma rimane destinata a soddisfare prevalentemente il fabbisogno delle miniere. Anche a La Rinconada tutto ruota attorno all’oro. I minatori sono pagati a giornata o in natura con il sistema del cachorreo: 28 giorni di lavoro per il contrattista e la società mineraria senza retribuzione. Nei due giorni successivi sfruttano in proprio la miniera portandosi via quanto minerale riescono a trasportare. L’oro che ne ricavano costituisce l’emolumento mensile, la cui entità dipende principalmente dalla fortuna del momento. Alle femmine è proibito l’accesso alle miniere perché secondo la credenza locale portano sfortuna; vengono impiegate come pallaqueras, setacciano il fango vicino alle bocche delle gallerie sul ciglio del pendio dove viene scaricato l’inerte, controllano a mano le pietre alla ricerca di pagliuzze d’oro. Donne e bambine sono, però, soprattutto oggetto di tratta e di sfruttamento sessuale. I responsabili delle attività minerarie criminali usano false offerte di lavoro che promettono alti salari per attirare le ragazze nelle città minerarie e costringerle a lavorare nei bordelli. Solo a La Rinconada sono state rintracciate oltre 5mila ragazze vittime di tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale nei bar frequentati dai minatori.

Nell’ottobre 2021 la presidenza del Consiglio dei ministri del Perù è affidata all’avvocato ambientalista del Frente Amplio, proprio Mirtha Vásquez, la stessa ad aver difeso Máxima Acuña e le altre famiglie nella battaglia contro la compagnia mineraria Yanacocha. Una speranza che forse cambi qualcosa.

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