Pubblicato: mar, 4 Mar , 2014

Lo striscione su Superga, ultimo oltraggio dalle curve

Lo striscione che offende la tragedia di Superga è soltanto l’ultimo caso della degenerazione offensiva del tifo nostrano. Se esistono gli strumenti per individuare i colpevoli perché non applicarli?

 

quando volo penso al toro“Quando volo penso al Toro. Solo uno schianto” : questo striscione esposto allo Juventus  Stadium ,che oltraggiava la sciagura di Superga, in occasione del derby Juventus-Torino del 23 febbraio, ripropone per l’ennesima volta il problema, riaprendo inevitabili polemiche. Le lacrime in una diretta radiofonica di Sandro Mazzola che a Superga perse il padre, il grande Valentino, hanno ulteriormente allargato il dibattito. La Juventus è stata multata di 25 mila euro, pena decisamente più lieve rispetto alla chiusura delle curve di vari stadi per insulti al Napoli. La Juventus non c’entra, si è affrettato a dire Mazzola. Eh no, caro Sandro. La Juve , in quanto società ospitante, è responsabile anche degli striscioni che vengono esposti.

La normativa

Proviamo a fare un po’ di chiarezza. L’8 marzo 2007 l’Osservatorio sulle Manifestazioni Sportive del ministero degli Interni stabilisce nuove regole per l’esposizione degli striscioni all’interno degli impianti sportivi. La normativa prevede che le società sono responsabili degli striscioni, che bandiere e striscioni possono essere esposti all’interno dello stadio previa autorizzazione della società cinque giorni prima dell’inizio della gara, dopo aver ricevuto la richiesta da parte dei tifosi almeno sette giorni prima.  E in ogni caso i rappresentanti della società, coadiuvati dalle forze dell’ordine “dovranno impedire l’ingresso di striscioni con parole, frasi, simboli, disegni o altro non volti ad incitare direttamente la propria squadra, ma ad offendere qualunque soggetto (società, calciatori, dirigenti, arbitri, sostenitori, ecc.) o comunque violenti, volgari o discriminatori; dovranno impedire anche l’ingresso di striscioni bianchi che potrebbero essere successivamente riempiti con parole offensive.”

Non è finita qui. In caso di striscioni particolarmente violenti e offensivi, il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio designato dal ministero dell’Interno, può ordinare all’arbitro di sospendere o non fare iniziare la partita.

Il 30 maggio 2012 l’Osservatorio delle Manifestazioni sportive istituisce l’albo degli striscioni: una specie di attestato per facilitare l’ingresso allo stadio.  Provvedimento che ha ricevuto più critiche che consensi. La Juventus, come tante altre società, ricorda nel suo sito ufficiale le norme che regolano l’ingresso degli striscioni nel proprio stadio, richiamandosi alle disposizioni del ministro del 2007 e del 2012, facendo scaricare dal proprio sito il modulo di richiesta, indicando indirizzo email  e numero di telefono per l’autorizzazione.

E’ fin troppo evidente che l’infame striscione che insulta Superga non è iscritto all’albo né è stata presentata richiesta per esporlo. E’ altrettanto evidente che la Juventus è colpevole di non aver esercitato alcun controllo preventivo né è pensabile l’attenzione.

I cori oltre gli striscioni 


C_3_Media_1367215_immagine_ts673_400La storia degli striscioni violenti o razzisti sembra non finire mai. Come i cori offensivi. In questo campionato a Bologna, in occasione della partita col Napoli, è stato esposto lo striscione “Sarà un  piacere quando il Vesuvio farà il suo dovere” , subissando di fischi l’esecuzione di Caruso, la canzone del bolognese Dalla, che Gianni Morandi, presidente onorario del Bologna aveva voluto far eseguire per un gesto d’amicizia verso Napoli. E poi curve chiuse a Roma e Milano, altri striscioni, altri cori, ancora insulti.

La storia parte da lontano. Non si conosce un inizio certo, ma la  degenerazione comincia quando ai cori e agli striscioni solitamente antimeridionali, si è passati all’insulto dei morti, alla profanazione di tragedie sportive e non, che sono costate vite umane.

La sera della vergogna è quella del 7 marzo 1979, in una partita di coppa Campioni di basket a Varese, gli israeliani  del Maccabi Tel Aviv vengono accolti al grido “Hitler ce lo ha insegnato, uccidere gli ebrei non è reato”. E poi saluti fascisti, croci uncinate e uno striscione ”Mauthausen reggia degli ebrei” .

”Heysel, 39 gobbi in meno” è uno striscione che fa storia e continua ad avere macabri sequel. E’ stato esposto per la prima volta allo stadio di Firenze per oltraggiare la memoria dei tifosi juventini morti nello stadio belga in occasione della finale di coppa campioni col Liverpool del 1985. Ma non finisce qui, perché in tempi più recenti c’è chi ostenta con vanto la foto in maglia viola, il numero è -39.

Insulti e striscioni non risparmiano morti (Agnelli, Scirea, Prisco, Moratti) e drammi personali (Pessotto). Hanno fatto peggio i tifosi del Verona quando nel  2012 sono andati a Livorno ad insultare la memoria di PierMario Morosini, morto in campo a Pescara mentre giocava con la maglia del Livorno.

L’antidoto peggiore contro questo tipo di episodi è l’ipocrisia. Vuoi combattere il razzismo? Ecco introdurre la “discriminazione territoriale” che punisce con la chiusura di settori dello stadio gli insulti ad altre tifoserie. C’è solo in Italia, ha detto Michel Platini, presidente dell’Uefa. Tradotto in volgare: chi vi ha pregato. Non  oscura quella razziale, si è affrettato a dire il presidente della Figc Abete. Ma le norme in proposito variano in continuazione, un po’ come è accaduto per l’Imu o come si chiama adesso: per chiudere un settore bisogna calcolare la percentuale degli insultanti.

Naturalmente tutto questo non risolve il problema. Aprire dibattiti o lacerarsi se insultare la memoria di Superga e meno grave di offendere i napoletani non ha senso, né aiuta sostenere che anche il ricordo dei juventini morti è stato oltraggiato.

Gli strumenti per individuare chi offende

striscione milanLe norme attuali ( a parte la farsa della discriminazione territoriale) dovrebbero garantire che negli stadi non entrino striscioni della vergogna. Se  c’è ciò accade è per assenza di controlli o, peggio, per complicità.  Ma c’è anche l’eccesso opposto: controllori esageratamente zelanti vietano l’ingresso di innocui cartelli che magari salutano i parenti o ricordano prodotti regionali. Nel 2005  (ancora prima della normativa sugli striscioni) una giovane tifosa del Palermo si era presentata all’Olimpico di Roma con il cartello “Panelle e crocchè”. L’inflessibile addetto agli ingressi chiese cosa fossero le “crocche”, senza accento sulla e. Rassicurato dalla spiegazione, fu dato l’ok non senza perplessità.

Le società, oltre alle solite indignazioni formali, spesso ipocrite, hanno tutti i mezzi per individuare i responsabili: i biglietti nominali, le riprese filmate. Una volta scoperti i colpevoli, costituirsi parte civile se ci sono stati incidenti, citare questa gentaglia per danno all’immagine della società  sarebbe un buon deterrente. Si può,  si può. Basta volerlo. Se i tifosi della squadra ospite vengono fatti uscire dallo stadio in ritardo, adottando adeguate misure di sicurezza, altrettanto si  potrebbe fare con quelli del settore incriminato, cercando fra di loro i responsabili.

Era già successo una volta a Napoli  il 24 maggio 1931 in occasione di Napoli-Inter. L’arbitro Scorzoni diventa il bersaglio di continuo lancio di oggetti. Viene colpito soltanto da un paio di scarpe in pieno petto. La Polizia decide di bloccare le uscite: chi esce scalzo è il colpevole. Ma non ha fatto i conti con la furbizia dei napoletani. Domenico Fenuta, questo il nome dell’unico napoletano che aveva colpito l’arbitro, manda un amico a casa sua (abitava vicino allo stadio) a prendere un paio di scarpe, poi doveva piazzarsi dietro il settore distinti, dove c’erano le aste delle bandiere. Fenuta con grande faccia tosta ne ammaina  una, tira giù la corda all’amico che assicura alla fune le scarpe per Fenuta. Sorpresa: non sono quelle giuste, troppo strette. Il tifoso napoletano non si perde d’animo, si fa largo tra la folla, scavalca la fila, si presenta al poliziotto e con grande faccia tosta gli chiede di farlo passare perché ha le scarpe strette e gli fanno male i piedi.

Insomma i mezzi per individuare i violenti ci sono.  Più di ottant’anni fa c’erano quasi riusciti. E non c’erano telecamere e biglietti nominali.

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