Pubblicato: mer, 20 Nov , 2013

L’Irlanda batte la Troika

A dicembre l’Irlanda uscirà dalla tutela della Troika. La ricetta è un mix di rigore e bassa tassazione per favorire lo sviluppo

 

veduta di Dublino

veduta di Dublino

Mentre in Italia si dibatte, speso sterilmente, sulla crisi dando la colpa a questo o a quello, l’Irlanda, coniugando rigore e sviluppo, ritorna a vedere la luce.

L’isola, prima della crisi, era la vera “tigre” europea; con una crescita annua media superiore al 7% era riuscita, in poco più di un decennio, a trasformarsi da paese povero e agricolo in una delle nazioni più avanzate d’Europa. Quella che era la forza dell’economia irlandese, il settore finanziario, nel 2010 è stato anche la causa del grave crack che ha colpito il “Paese del Trifoglio”, crisi tanto grave da portarla, il 29 novembre 2010, sotto la tutela della Troika.

Il piano “lacrime e sangue” approntato non provocò uno scossone solo nell’economia, anche la politica  pagò il suo tributo. Alle elezioni gli irlandesi, dopo 85 anni, mandarono a casa il Fianna Fail affidando la guida del paese al centrodestra del Fine Gael. Il nuovo governo si ritrovò ad affrontare una situazione sconvolgente: spread oltre quota 1000, disoccupazione al 14% (era al 4% due anni prima) e debito pubblico al 117%.  Nonostante le prevedibili proteste di piazza l’esecutivo guidato dal taoiseach Enda Kenny ha condotto la politica di austerity imposta dalla Troika; tra i tanti provvedimenti contestati, aumento imposte e tagli al pubblico impiego, a scatenare il malcontento sono state le nuove tasse su acqua e casa. In realtà, l’ovvio malumore per le misure adottate non si è mai tramutato, tranne qualche occasione, in grandi manifestazioni di piazza, uno dei motivi è che il governo ha scelto come strategia quella di lasciare inalterata la bassa tassazione sulle imprese (12%) non soffocando quindi le possibilità di ripresa, non a caso il PIL, grazie alle multinazionali che continuavano ad investire nell’isola, era positivo già nel 2011.

Dopo 3 anni di sacrifici ora i risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’economia continua a crescere, lo spread è sceso a 178 punti, molto meno di Spagna e Italia, e il deficit è calato al 7%, ben al di sotto il limite del 10% richiesto dalla Troika. Queste ottime performance hanno dato la possibilità al premier, ad inizio mese, di annunciare con orgoglio che l’Irlanda dal 15 dicembre uscirà, senza tra l’altro aver avuto bisogno del fondo salva Stati, dalla tutela di FMI, BCE e Commissione.

Certo non tutto è rose e fiori in Irlanda. La disoccupazione, seppur in continuo calo, è ancora al 13%, le banche, dopo il crack, rimarranno a lungo sotto sorveglianza speciale e, inoltre, il mercato immobiliare fatica a riprendersi. Ad ogni modo quello che ha dimostrato l’Irlanda è che si può conciliare austerity e crescita a patto di praticare vere politiche per il lavoro, non a caso il pilastro portante della politica economica irlandese è la bassissima tassazione per le imprese che, oltre ad aiutare l’imprenditoria locale, rende l’isola la meta ideale delle multinazionali di mezzo mondo, che infatti hanno spesso sede, per l’Europa, proprio nel “Paese Verde”. In aggiunta a tutto ciò si registra negli ultimi mesi un vero baby boom, segno che gli irlandesi sono tornati a sperare nel futuro (con o senza quadrifoglio portafortuna).

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