L’Argentina andrà al ballottaggio il 22 novembre.
I maggiori consensi sono andati al candidato peronista, ma al ballottaggio la sua vittoria non è certa.
Il candidato peronista Daniel Scioli, del Fronte per la vittoria, erede di Christina Fernandez de Kirchner, ha ottenuto il maggior numero di consensi al primo turno delle elezioni presidenziali in Argentina, ma dovrà vedersela al secondo turno, il 22 novembre, con il leader della coalizione “Cambiemos”, Mauricio Macri.
Domenica 25 ottobre, al primo turno, ha votato circa l’80% degli aventi diritto: Scioli ha raggiunto il 36,3% dei voti, Macri ha avuto il 34,7%. Terzo è risultato il giovane peronista dissidente Sergio Massa con il 21% dei suffragi. La situazione, dunque, al turno successivo si presenta incerta e saranno molto probabilmente gli elettori di Massa a decidere, con la loro prossima scelta, chi sarà il successore di Christina Kirchner.
Il primo dato politico certo è comunque la fine dell’era Kirchner in Argentina, dopo 12 anni di permanenza alla Casa Rosada, prima con Nestor, poi con Christina. Ma questo fatto era noto da tempo. Ciò che è accaduto di nuovo in questo primo turno elettorale è il fatto che “Cambiemos” ha sopravanzato i peronisti nella provincia di Buenos Aires, regione decisiva dato che vi risiede il 38% degli elettori di tutta l’Argentina e dove i peronisti governavano da 30 anni.
Invero l’elezione in Argentina rappresenta qualcosa di più della elezione di un presidente che governerà per 4 anni un Paese che si dibatte in una gravosa situazione economica. Qui si tratta dell’accettazione o del rifiuto della dittatura dei mercati finanziari internazionali, qui si tratta della ribellione, da parte di alcuni Paesi latinoamericani, alla logica neoliberista che sovente affoga le economie nazionali.
L’Argentina nell’era del kirchnerismo, e in particolare durante il mandato di Christina, si è tenuta al di fuori del mercato dei capitali esteri. I Kirchner hanno sovente parlato di “rivoluzione patriottica”: sono diminuite, nonostante le difficoltà dovute ai rapporti problematici con la finanza internazionale, disoccupazione e povertà, è stato introdotto l’assegno familiare per i figli, la copertura pensionistica è diventata quasi universale, sono riprese le trattative salariali, i militari colpevoli di orrendi crimini e violazioni continue e sistematiche dei diritti umani sono stati processati, è stata approvata la legge sui matrimoni gay.
Daniel Scioli garantirebbe continuità. In un discorso, appena dopo che si sono conosciuti i risultati del primo turno, ha ribadito che proseguirà sulla strada delle nazionalizzazioni e non privatizzerà mai più, ha riaffermato che la priorità “sono gli umili, i lavoratori” e la classe media, i “maestri politici” Peron, Nestor Kirchner, il Papa Francesco.
Macri, al contrario, è uomo gradito ai mercati internazionali e alle agenzie finanziarie . Non per nulla una d’esse, “Bloomberg”, ingerendosi nelle questioni di uno Stato sovrano, ha così giudicato, alla vigilia delle elezioni, l’operato del legittimo governo del Paese: “hanno litigato con il Fmi, condotto il Paese al secondo default, piuttosto che rimborsare i fondi speculativi si sono guadagnati la fiducia con sussidi ed elargizioni, che hanno generato il secondo tasso di inflazione più alto dell’emisfero”.
Macri, dunque, collocato al centro destra, ha assicurato di voler togliere i controlli sulle valute, rimuovere i dazi all’export di prodotti agricoli. Porterebbe avanti un tipo di politica “pro business”, fatta di privatizzazioni e tagli alla spesa, una politica favorevole alle speculazioni finanziarie che portò al default del debito sovrano argentino del 2001.
Perché, resta da chiedersi, gli elettori non girano decisamente le spalle a queste politiche suicide? Ma perché la forza e il cinismo dei mercati e di chi li controlla travolge gli interessi delle nazioni. La caduta del prezzo delle materie prime sta mettendo in difficoltà le economie e i governi progressisti dei Paesi latinoamericani, ricchissimi di materie prime. A pensare che ciò sia provocato dai poteri forti si fa peccato contro tutti quegli alti vertici dello sviluppo dei capitali globali, ma difficilmente si sbaglia.