Pubblicato: mar, 7 Gen , 2014

Il governo taglia i fondi per la lotta alla mafia

Il contrasto alla criminalità organizzata: tante parole e pochi fatti. Ulteriori tagli si abbattono anche sugli stipendi dei dipendenti della Dia, già in carenza di personale

152533300-3d3eccb6-235c-43f9-9cee-ec8228af2b2cSul fatto che la crisi finanziaria tocchi tutti i settori e che per farvi fronte si debbano inevitabilmente effettuare dei tagli, in pochi avrebbero da obiettare. Ma nel momento in cui tali tagli vanno a toccare uno di quegli aspetti che dovrebbe quantomeno essere la priorità di ogni buon governo che si rispetti, allora viene da pensare che, forse, al contrario, proprio ciò che dovrebbe essere immune da quei tagli, in realtà è considerato nient’altro che uno spreco. Deve averlo pensato il nostro governo in merito alla lotta alla mafia.

Se a parole è sempre facile essere in prima linea nella prevenzione e repressione della criminalità organizzata, nei fatti – a quanto pare – non può dirsi lo stesso. Nel capitolo di bilancio destinato a questa voce, approdato a metà dicembre in Commissione Affari istituzionali all’Assemblea regionale siciliana, infatti, le risorse ad essa destinate sono state ridotte all’osso: si è passati da 1,2 milioni di euro del 2013 a 154mila per il 2014. Basta leggere le cifre che la Regione ha deciso di stanziare per ogni singola voce di questo capitolo del bilancio, per farsi un’idea migliore di cosa significhino i drastici tagli: “Fondo di solidarietà per le vittime di richieste estorsive”: da 34mila a 13mila euro; “Contributo alle associazioni antiracket riconosciute, a Fondazioni, a centri ed altre strutture associative aventi sede in Sicilia per il perseguimento di finalità connesse all’assistenza, alla tutela, alla informazione dei soggetti che abbiano subito richieste o atti estorsivi”, da 251mila a 23mila euro; “Formazione degli orfani vittime della mafia, della criminalità e del dovere”, da 70mila a 8 mila euro; “Assunzione delle vittime di mafia negli enti locali”, da 229mila a 49mila euro; “Indennizzi “una tantum” per le vittime della criminalità organizzata”, da 60mila a 15 mila euro; “Danni a immobili e mezzi di trasporto causati da Cosa Nostra”, da 26mila a 5mila euro; “Fondo regionale per le parti civili nei processi contro la mafia”, da 157mila a 20mila euro; “Contributi fiscali per gli imprenditori che denunciano il pizzo”, da quasi 2,9 milioni di euro a 11mila euro. Quest’ultimo, il taglio più clamoroso e, forse, anche il più vergognoso e inaccettabile per un governo che a destra e a manca afferma di voler difendere la legalità e contrastare le mafie con ogni mezzo possibile. Siamo di fronte all’ennesimo paradosso di questa terra, che riesce a stanziare enormi somme di denaro pubblico per i compensi a deputati e senatori, ma improvvisamente sembra diventare povera, cieca e sorda quando si tratta di poter utilizzare quegli stessi soldi per una lotta alla mafia seria e concreta.

Come se non bastasse, la Dia, oltre a dover già fare i conti con un bilancio irrisorio rispetto alla complessità intrinseca alla lotta al fenomeno mafioso, si vedrà sfoltiti da ulteriori tagli i già esigui stipendi dei suoi dipendenti. Gli ultimi, in ordine cronologico, riguardano il “Tea”: il trattamento economico accessorio che rappresenta il 20% dello stipendio dei 1.300 dipendenti della Direzione investigativa antimafia, la cui creazione, è bene ricordarlo, si deve anche alla volontà del giudice Giovanni Falcone.

Sino a due anni fa questa voce di bilancio era considerata spesa obbligatoria, ma dal 2011 in poi, per via della legge di stabilità, il “Tea” per i dipendenti dell’Antimafia è diventato spesa facoltativa. Quei soldi, infatti, non sono più erogati automaticamente per legge, ma soggetti alla discrezionalità dell’esecutivo che può decidere se disporne o meno il versamento con successivo decreto. Da quest’anno il “Tea” rischia addirittura di trasformarsi in una chimera. Per garantirlo sono necessari 10 milioni di euro l’anno, ma la somma disponibile ammonterebbe a poco più della metà. Dal 2001 al 2012 il bilancio della Dia è crollato da 28 milioni di euro a 17. A ciò va aggiunta la carenza di personale: per poter funzionare a pieno regime, la macchina della Direzione investigativa avrebbe bisogno di 3 mila dipendenti, tra funzionari e investigatori. Ad oggi, in servizio ce ne sono meno della metà.

Il progressivo indebolimento di una fondamentale struttura come la Dia e il suo conseguente depotenziamento, fa sorgere la solita ma mai scontata domanda: da che parte è lo Stato?

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