Pubblicato: sab, 10 Mag , 2014

Identità di genere, le parole sono importanti

Se a rendersi complici di una cultura transfobica sono i mezzi di informazione
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Al centro della foto, Mirko Pace – presidente di Arcigay Palermo

“Palermo, branco in azione: violentato ripetutamente un trans”. È questo il titolo della notizia battuta da diverse agenzie di stampa e riportata tale e quale da numerose testate locali e nazionali, riguardante la drammatica vicenda accaduta qualche sera fa nel capoluogo siciliano, aggravando di fatto quanto successo. Perché peggiori delle violenze fisiche, sono quei maltrattamenti invisibili, capaci di lasciare nell’animo ferite anche più profonde, perpetuate da chi, in virtù del grande potere esercitato sulla società, dovrebbe al contrario difendere dignità e diritti e, invece, contribuisce a lederli.

Ignoranza, disinformazione, pregiudizio sociale: un cocktail micidiale bevuto a grandi sorsi dai giornalisti – troppo spesso colpevoli di autoreferenzialità – che, “storditi” dai suoi effetti, non raccontano mai totalmente e correttamente la realtà delle persone trans, la cui immagine viene così distorta e data in pasto ai lettori. Eppure basterebbe così poco per lenire quel disagio, quella sofferenza, quella solitudine e capire che, sebbene i percorsi siano tanti e tutti diversi, la funzione della cronaca è una e precisa: raccogliere informazioni corrette e diffonderle alla collettività. E così difficile? Leggendo la notizia dello stupro, sembrerebbe di sì.

«C’è una mancanza di sensibilità, frutto di una vera e propria chiusura mentale da parte della stampa riguardo questi temi – dichiara Mirko Pace, presidente di Arcigay Palermo –. Con la nostra associazione abbiamo organizzato diverse iniziative, ma abbiamo sempre ricevuto un feedback negativo. Ne è un esempio anche il seminario organizzato da Redattore Sociale (“L’orgoglio e i pregiudizi. Per un’informazione rispettosa delle persone Lgbt”, ndr) svoltosi a Palermo lo scorso ottobre e pensato appositamente per formare i giornalisti sui temi del genere e dell’orientamento sessuale, ma davvero in pochi hanno partecipato». L’amarezza è tanta e gliela si legge negli occhi.

Il Ministero per le Pari opportunità, in collaborazione con l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) e Redattore Sociale, con il patrocinio dell’Ordine nazionale dei giornalisti e della Federazione nazionale stampa italiana, delle amministrazioni comunali, degli Ordini regionali e dei sindacati dei giornalisti delle città ospitanti, ha presentato mesi fa le Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone Lgbt, volte alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. «Questa sorta di vademecum – afferma ancora Pace – avrebbe dovuto aiutare i giornalisti a comunicare senza pregiudizi e agevolare soprattutto le persone trans nel loro percorso di autodeterminazione. Ma così non è stato. Anzi, assistiamo ad un “condizionamento a doppio livello”: se da una parte, infatti, la stampa ha contribuito in un certo senso a scemare il clima omofobico che si respira nel nostro Paese, dall’altro i trans e le trans appartengono ad una categoria completamente emarginata». È chiaro che la responsabilità di questo “isolamento” non è da addebitare esclusivamente ai giornalisti, ma tale categoria di professionisti può fare tanto per riabilitare e normalizzare il termine “transessuale”. Di certo non possiamo dire che il nostro lessico non ci venga in aiuto nello stabilire quale genere grammaticale utilizzare laddove deve vincere il principio di identità: la transessuale è la persona con identità di genere femminile che ha transitato o sta transitando dal maschile al femminile; viceversa, il transessuale è la persona con identità di genere maschile che ha transitato o sta transitando dal femminile al maschile. Una volta chiarito questo semplice concetto, va da sé che è corretto soltanto usare pronomi, articoli, aggettivi coerenti con l’apparenza della persona e con la sua espressione di genere. E se viene a mancare la rappresentazione, è difficile trovare l’identificazione: processo essenziale e non privo di dolore, per poter vivere una vita il più normale possibile.

Utilizzare un termine piuttosto che un altro non può certo restituire la complessità dell’esperienza transessuale, né dal punto di vista fisico, tantomeno da quello psicologico. Ma è un primo passo fondamentale nello sviluppo di strategie necessarie per migliorare la rappresentazione dei soggetti trans attraverso i media. È una sfida che, ad oggi, in pochi hanno accettato, dimostrando così di non essere all’altezza di questa responsabilità.

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