Pubblicato: mer, 7 Set , 2016

I Palestinesi: un popolo alle Olimpiadi

Una bandiera, un popolo che lotta per il riconoscimento dei propri diritti in una terra soggetta all’occupazione israeliana illegale e violenta da 68 anni.

 

palestineteamIl Comitato Olimpico Palestinese venne creato e riconosciuto dal CIO nel 1995 e da allora i palestinesi hanno sempre partecipato ai Giochi estivi, sono stati presenti ad Atlanta 1996, Sidney 2000, Atene 2004, Pechino 2008 e Londra 2012. La loro partecipazione è stata garantita solo grazie agli inviti del Comitato Organizzatore o del Comitato Olimpico Internazionale, rivolti ad atleti che, pur non avendo guadagnato il diritto alla partecipazione tramite le qualificazioni, provengono da paesi in situazione d’instabilità politica. Da 20 anni gli atleti palestinesi partecipano alle Olimpiadi con piccoli gruppi di atleti che non hanno veri impianti dove allenarsi, non possono andare a gareggiare all’estero e neanche spostarsi liberamente all’interno della Cisgiordania e verso Gaza; Israele, nell’ambito della politica di apartheid riservata ai palestinesi, impone quotidianamente forti limitazioni agli spostamenti sia all’interno del paese che, in modo ancora più stringente, verso l’esterno. Gli atleti, quanto e più degli altri, devono attraversare checkpoint, chiedere permessi speciali, evitare le zone e le strade riservata ai soli israeliani, fare un percorso burocratico a ostacoli e, spesso, inutile, per ottenere un permesso per uscire dal paese attraverso la frontiera giordana (l’accesso all’aeroporto di Tel Aviv è pressoché vietato) per poi raggiungere qualsiasi paese estero. Alcune volte gli atleti riescono a passare, ma in ritardo per gli appuntamenti fissati, altre, specie se si tratta di sport di squadra, riesce a passare solo una parte degli atleti e questo impedisce di fatto al team di partecipare alle competizioni sportive, ma i palestinesi, anche in questo caso, come in ogni altro evento della loro vita, resistono e continuano ad aspettare e a lottare ed è anche questo che ci rende fieri di presentare questi atleti.

Mary Al-Atrash, nuotatrice di 22 anni ha rappresentato la Palestina ai giochi olimpici di Rio 2016 nel nuoto 50 metri stile libero piazzandosi 62°; sapeva di non avere molte possibilità  di qualificarsi alle fasi finali dei giochi visto che il suo tempo era parecchio al di sopra dei tempi di qualifica, il suo miglior tempo infatti era di 29.91 secondi, quattro secondi in più rispetto ai 25.28 secondi previsti per le qualificazioni ufficiali, ma la giovane atleta si è allenata duramente nella piscina di Beit Sahour, vicino a Betlemme, che è circa la metà della piscina olimpica dove ha gareggiato a Rio ed è orgogliosa di aver fatto sventolare  la propria bandiera alle Olimpiadi.

Mayda al-Sayed specialista della maratona femminile, si è piazzata 69°. È nata a Berlino nel 1992, figlia di profughi ed è stata lei a portare la bandiera durante la cerimonia di apertura.

Ahmed Gebrel, nuoto nei 200 m stile libero uomini, è nato al Cairo nel 1991 e si è guadagnato il  47° posto; nel 2012, dopo essersi allenato per 4 mesi a Barcellona in una vera piscina era riuscito a raggiungere il 27° posto, ma quest’anno non gli è stato possibile e il risultato, purtroppo, lo ha evidenziato.

Mohammed Abukhousa ha gareggiato nell’atletica leggera nei 100 metri maschili e si è piazzato 9°. Simon Yacoub,  judoka, è nato in Germania e il padre è un profugo palestinese. Ha frequentato la scuola sportiva d’elite “Sport Gymansium” ed è stato uno dei migliori combattenti della sua classe di peso nei tornei tedeschi, a 16 anni è stato scelto per entrare a far parte della selezione nazionale. Ha gareggiato fino al 2013, poi è stato costretto a fermarsi per motivi di salute e questa pausa gli ha dato l’opportunità di riavvicinarsi alle sua radici familiari cosicché ha deciso di chiedere di gareggiare per il paese di suo padre, la Palestina.

Christian Zimmermann ha una storia molto particolare, discendente del compositore Robert Schumann, è nato a Colonia, in Germania ed ha gareggiato nel dressage fino all’età di 26, quando ha lasciato lo sport per entrare nel mondo degli affari diventando amministratore delegato dell’agenzia di comunicazione Uniplan. Dopo una pausa dallo sport di 18 anni, ha ricominciato a gareggiare all’età di 44 anni. Nel 2011 è diventato un cittadino naturalizzato dello Stato di Palestina e nel 2013, è diventato uno dei soli sei cavalieri palestinesi registrati presso la Federazione Internazionale per gli sport equestri.  Ha scelto di passare a gareggiare sotto la bandiera della Palestina dopo l’incontro con un diplomatico russo di origini palestinesi che lo ha fatto riflettere sul ruolo della Germania nella storia della questione Palestinese.

Questo il gruppo di atleti che è arrivato a Rio per rappresentare con orgoglio la Palestina, ma… sono arrivati senza gli indumenti di gara trattenuti alla frontiera da Israele. Lo hanno denunciato in una lettera indirizzata al Comitato olimpico internazionale quando sono sbarcati in Brasile solo con i bagagli personali e un paio di tute da allenamento. Il resto dell’equipaggiamento è stato fermato alla dogana in uscita da Israele. “Aiutateci, non sappiamo come fare. Sbloccate la situazione o trovateci degli indumenti adatti”, è stato l’appello rivolto al Cio dal capo delegazione Ghayda Abu Zayyad. “Abbiamo solo un paio di magliette a testa per allenarci e l’uniforme da podio, nient’altro. Se le cose non cambiano saremo costretti a cucirci da soli una bandiera per la cerimonia d’apertura e a compraci divise improvvisate”. Alla cerimonia di apertura abbiamo poi visto la delegazione palestinese – la più grande inviata da Ramallah nella storia dei Giochi – sfilare con la kefiah, la bandiera e i costumi tradizionali arrivati da chissà dove o, forse, almeno quelli, messi nel bagaglio a mano per eccesso di prudenza; sicuramente la stampa non si è appassionata a questa vicenda come non si appassionata alle storie di vita di questi 6 coraggiosi mentre si è ampiamente dedicata alle polemiche sulla mancanza di sportività dei libanesi che non hanno accettato di dividere il pullman con gli atleti del paese che li assedia e li bombarda, a fasi alterne, da oltre quarant’anni o su quella del judoka egiziano che ha preferito non stringere la mano all’atleta israeliano per dimostrare la sua contrarietà alla presenza alle Olimpiadi degli atleti di un paese che, regolarmente, mette in atto comportamenti antisportivi impedendo incontri di calcio, allenamenti e partecipazione alle manifestazioni sportive degli atleti palestinesi. Il judoka è stato espulso e rimandato in Egitto, non una parola su quando Israele fa ogni giorno.

Rio 2016 ha visto anche la prima medaglia d’oro vinta da un palestinese anche se con cittadinanza giordana perché figlio di profughi del 1967 costretti ad abbandonare il villaggio di Imwas, vicino a Gerusalemme, distrutto dalle truppe israeliane… Il villaggio fu occupato il 7 giugno del 1967, durante la guerra dei sei giorni dalle truppe dell’IDF, i suoi abitanti furono espulsi e le case distrutte per ordine di Rabin. Oggi nell’area sorge il Canada Park, costruito dal Jewish National Fund nel 1973 per cancellare ogni traccia del passato. Ahmad Abu Ghoush ha sconfitto l’atleta russo nella finale di taekwondo riportando una vittoria unica nella storia palestinese.

Barbara G.: Associazione di Amicizia italo palestinese Onlus

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