Golpe del 1973 e dittatura: laboratorio del neoliberismo
Ricordati a Firenze gli avvenimenti del 1973 in Cile e l’importanza che ancora rivestono per capire il nuovo secolo.
di Fulvio Turtulici
E’ stato un grande evento, quello organizzato recentemente a Firenze dall’Archivio storico “Il ’68”, dall’Arci, dall’Anpi e dal Comitato “San Niccolò”, in occasione della festa nazionale cilena per la liberazione dagli spagnoli, per ricordare il golpe dell’11 settembre 1973 che rovesciò, con un violentissimo assalto militare, il governo legittimo di Salvador Allende.
Diversamente da quanto si potrebbe pensare, non é stato uno stanco rituale, ma una sentita rievocazione di un’altra pagina buia del ventesimo secolo. I fatti della storia servono sempre, infatti, per capire i tempi che ci tocca vivere. Sempre per recuperare la memoria.
In quegli anni la scolarizzazione faceva conoscere un numero crescente di uomini e donne delle lotte. Nel 1968, ad Avola, i braccianti, gli operai al loro fianco e la popolazione in massa che chiedevano condizioni di lavoro e di vita più civili, ricevettero piombo. Come alla fine dell’800, come nei primi anni del ‘900, come sempre.
C’era stato il ’56 in Ungheria, nel 1959 Fidel Castro aveva conquistato il potere a Cuba, ma con le armi, e poi c’era stata la vergogna del 1968 a Praga. Sarebbe stato legittimo domandarsi se fosse stato possibile considerare compatibile un cambiamento di tipo socialista in un percorso democratico. Ed ecco che nel 1970 Salvador Allende ed Unidad Popular conquistano il consenso popolare in libere e democratiche elezioni.
Nei tre anni successivi governeranno nel rispetto assoluto della Costituzione, assicurando un ordinato convivere, nonostante i tanti, dentro e fuori, a cercar di alimentare tensioni, con il Paese mantenuto sostanzialmente in pace. Dunque sì, in Cile si stava dimostrando che il cammino verso il socialismo poteva avvenire nel rispetto delle regole della democrazia occidentale. Ma ciò che fu formativo per molti, suscitò allarme per i conservatori e i reazionari internazionali e sconvolse i piani ferocemente mercantili dei monopoli globali.
Se Allende si fosse stabilizzato, se la sua esperienza avesse avuto successo, il capitalismo rapinoso sarebbe andato in grande difficoltà dinanzi agli occhi del mondo e all’avanzata della rivoluzione socialista. Bisognava che reagissero e lo fecero, nonostante non vi fosse in Cile nessuna delle giustificazioni classiche dei prepotenti: nè pericoli, nè alcuna minaccia.
Lo spiegamento di forze e l’elaborazione teorica toccarono, in occasione del Cile, il punto più alto nel sistema della difesa degli interessi del mercato. Fin dal 1961, gli Stati Uniti, guardiani del dominio dei grandi gruppi di potere economico, scesero in campo contro l’avanzata, evidentemente fin da allora temuta, di Allende e dell’unità delle sinistre. Il presidente Kennedy, di cui dovrebbe essere rivisto il giudizio storico, aveva iniziato il lavoro sporco per impedire che Allende arrivasse alla presidenza cilena. La cosa riuscì nel 1964, fallì nel 1970.
A quel punto le pressioni dei monopoli internazionali e la volontà del governo americano di anestetizzare il mondo si strinsero in un unico patto per sovvertire le istituzioni democratiche in Cile, con buona pace dell’aureola di liberalismo del Paese che aveva liberato il mondo dal nazismo.
L’azione fu duplice. Intanto la solita di suscitare i più abietti istinti umani, figuri di mestatori e sicari della peggiore umanità. In quest’opera rifulse Kissinger, Segretario di Stato, premio Nobel per la pace, si suppone per le sue ormai acclarate capacità di riaggiustare gli interessi americani con il crimine. Le manovre contro il legittimo governo di Unidad Popular sono ormai verità storiche, non vedendo la ragione per cui un paese dovesse diventare comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. Ecco, dunque, qual era il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli di questo conclamato ed indefesso difensore della libertà.
La ricerca di interlocutori golpisti nell’esercito e fra le classi ricche del paese sudamericano da parte dell’amministrazione e dei servizi degli Stati Uniti, la “guerra psicologica”, il soffiare sul fuoco delle normali, in un paese dove si rispetta la libertà, rivendicazioni sociali, l’istigare il golpe e poi difenderlo con ogni mezzo, deve ormai essere considerato verità accertata mediante prove documentali e pubblicazioni, iniziate ad apparire a Washington fin dal 1975. Ma fin qui, in fondo, nulla di originale. Anche la ITT, la Enron, multinazionali monopoliste, che detenevano il controllo economico e finanziario di tutta la produzione estrattiva delle miniere di rame, o la Pepsi Cola che, come si sa, ci ama da morire, erano parte della consueta geografia.
Il Cile, invece, fu laboratorio di un esperimento che, in seguito esportato, almeno dal punto di vista della politica economico- finanziaria, costituì il contrattacco vero e decisivo al movimento socialista che si preparava a cambiare le società del mondo. La soluzione del neoliberismo autoritario venne provata per la prima volta sulla pelle del popolo cileno, divenendo ben presto il modello unico che ci avrebbe condotto all’attuale disastro.
Durante l’incontro rievocativo di Firenze, è stato detto che il Cile si trova tutt’ora in una situazione economica migliore rispetto a tante altre realtà latinoamericane. Dal 1976 il Pil cominciò, infatti, a salire. Insieme agli assassini dell’esercito scesero in campo i Chicago boys della scuola monetarista di Milton Friedman. Mandati al dittatore Pinochet come consulenti, hanno disegnato le linee di politica economica e sociale che hanno influenzato il mondo.
Dal paese sudamericano doveva partire la dimostrazione della capacità del neoliberismo di risolvere i problemi delle crisi e, grazie all’eliminazione della democrazia, del contenimento delle libertà sindacali e delle rivendicazioni partecipative delle classi lavoratrici, vincendo la recessione e le lotte sociali. Venne intrapreso un programma di drastiche privatizzazioni, della sanità, delle scuole, di aziende e beni dello Stato, di riforma del mercato del lavoro che rese flessibile la forza lavoro (il sogno di Marchionne), di completa apertura alla libera circolazione dei capitali, in entrata ed in uscita. Capitali, dall’estero e interni, totalmente liberi e cittadini sudditi.
La dittatura, ne erano certi i Chicago boys, sarebbe stata molto utile al successo di tale processo. Il panorama economico e sociale fu lo stesso che avremmo visto poi, ovunque tale sistema fosse attecchito: ceti minoritari sempre più ricchi, marginalizzazione della classe operaia, impoverimento dei ceti medi intellettuali, aumento della disoccupazione e abbattimento dei salari, le minoranze etniche (i Mapuche) brutalmente espropriate della terra e ghettizzate, il mercato come la sola ed unica ragione e religione.
I canoni economici e finanziari furono accolti prima dalla Thatcher in Inghilterra, e da Reagan negli Stati Uniti, quindi si diffusero per il pianeta, naturalmente anche in Italia. Ridurre la partecipazione dei ceti popolari e dei lavoratori, svendere il welfare in cambio della promessa e delle luminarie di un benessere che si sarebbe ben presto rivelato effimero, costituito da bolle.
La feroce dittatura cilena servì non solo per abbattere Allende, ma affinchè l’alta finanza, i monopoli, i parassiti riprendessero il dominio del globo che il comunismo temevano stesse minacciando. Ecco perché è stato giusto ricordare, grazie all’iniziativa responsabile dei profughi cileni, alcuni militanti di Unidad Popular, incarcerati, torturati ed espulsi dal proprio paese, e le sensibilità democratiche, nonostante tutto ancora presenti in Italia.
Bella, veramente bella questa serata in memoria dei quarant’anni del colpo di Stato militare, conclusasi con le canzoni della resistenza cilena e di quella italiana. Piena anche di stornelli toscani, perché tutto si può togliere ai popoli ma non la speranza e, come ha detto un partigiano di 89 anni, un esempio di passione politica e ideale e amore per la vita, “chi non ha speranze, o peggio le uccide, è già finito”.