Pubblicato: lun, 25 Nov , 2013

Emarginati e precari nella Sicilia di “31 gradi kelvin”

L’esordio alla regia del giovane Giovanni Calvaruso: primo film girato con credito d’imposta

 

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Antonio Ciurca e, al centro, il regista Giovanni Calvaruso

Solitudini che si sovrappongono ed emarginazioni che si intrecciano, sullo sfondo di una Sicilia che nulla ha a che vedere con i soliti paesaggi da cartolina di un Sud dove tutto è sole, spiagge e bella vita. L’ambientazione di “31 gradi kelvin”, opera prima del giovane Giovanni Calvaruso, è quella di una grigia e fredda periferia urbana di una cittadina dell’Isola, in cui si intersecano le esistenze dei vari personaggi. C’è la storia di Pietro, operaio per trent’anni alla Fiat, che affronta da solo, dopo la morte della moglie, la sfida più difficile con la malattia; c’è quella di Ibrahim, tunisino che vive e lavora da anni in Italia nell’attesa di far ritorno prima o poi nel suo Paese, dove ad attenderlo ci sono la moglie e la figlioletta. C’è Rachele, perennemente divisa fra il lavoro che le è necessario per vivere e la voglia di continuare gli studi universitari che è stata costretta a interrompere; e ancora Eva, giovane pittrice che si è adattata a lavorare in fabbrica pur di continuare a coltivare le proprie aspirazioni; e, infine, la storia di Mariano e Luca, giovani “sbandati” senza lavoro, senza certezza alcuna, senza niente. Percorsi diversi, ma forse non poi così distanti, tanto che le loro vite si incontrano e si scontrano, per raccontare, in fondo, un’unica storia: quella di una società che ha perso ogni valore e punto di riferimento, forse anche ogni speranza e in cui, spesso, alle vittime non rimane altro da fare che diventare carnefici.

silvia francese

Silvia Francese

«Lo zero kelvin – spiega il regista, che ha firmato anche il soggetto e la sceneggiatura – corrisponde a circa -273°C e viene usato in fisica per indicare lo “zero assoluto”, cioè la temperatura più bassa che in teoria si può ottenere e in cui non vi è possibilità di vita per nessun essere vivente. I miei “31 gradi kelvin” si riferiscono a una ipotetica temperatura limite, in cui non vi potrebbe essere possibilità di vita vera e propria, ma solo di sopravvivenza».

Calvaruso, classe 1978, tra un ottimismo falsato e un facile pessimismo, sceglie di rappresentare la realtà di oggi per quella che è: precaria e complessa sotto ogni aspetto della vita quotidiana, soprattutto per i giovani del Sud dell’Italia. «Una generazione privata di qualsiasi ideale, sperduta e disperata, senza più certezze e sicurezze, senza più padri a cui aggrapparsi e istituzioni a cui affidarsi. Giovani che trascorrono una precaria esistenza in territori derubati, annientati e deturpati da decenni di barbarie incontrollata e di pessima amministrazione. I nostri genitori guardavano al futuro e, speranzosi, cercavano di programmarlo. Noi a malapena riusciamo a combattere col presente, giorno dopo giorno». E la precarietà, in tale contesto, non può che essere «il modello esistenziale della vita quotidiana, dai sentimenti al lavoro: una cappa che non permette di vivere appieno, ma una mera sopravvivenza».

Il film, che arriverà nelle sale dopo Natale (ma con un ciclo di pre-proiezioni di quattro giorni, dal 28 novembre, ad Alcamo, dove è stato girato) è prodotto da Linda Di Dio e Pasquale Scimeca per Arbash. Tra gli interpreti, Vincenzo Albanese, Antonio Ciurca, Omar Noto, Silvia Francese, Silvia Vena, Walid Gasmi, Filippo Luna. “31 gradi kelvin” è stato presentato in concorso a diversi festival, tra cui Annecy e Villerupt (dove è stato premiato con una Menzione speciale della giuria), ed è stato richiesto al Festival di Tolosa. Si tratta anche del primo film girato con credito d’imposta (Tax Credit esterno), con il supporto della Sicilia Film Commission.

«Per noi, questa, è stata una scommessa – ha dichiarato Pietro Di Miceli, presidente della Film Commission siciliana –. Intanto perché si tratta di un giovane regista e poi perché abbiamo utilizzato fondi di bilancio di qualche anno fa, reimpiegando quindi delle risorse allocate nelle pieghe del bilancio regionale. Nello stesso tempo, il film è stato realizzato anche grazie a budget provenienti dal mondo delle imprese e delle banche. Rispetto al passato, in cui si chiedeva alle varie parti pubbliche (Regioni, Ministeri ed Enti locali) di partecipare insieme alla gestione dell’attività economica, oggi assistiamo al mutamento della compartecipazione finanziaria».

E proprio a proposito della gestione economica, Di Miceli ha sottolineato come, «chi riceve soldi dalla Film Commission, si impegna a rendere trasparente ogni subappalto», pena la revoca del finanziamento. La Regione, infatti, ben consapevole del giro di racket che ruota intorno ai set cinematografici siciliani, strozzando sul nascere progetti e produzioni, ha varato esattamente un anno fa un Protocollo di Legalità, intitolato significativamente a Carlo Alberto dalla Chiesa. «Si tratta di un atto d’impegno, mutuato dal Codice degli appalti, che il produttore del film sottoscrive, al fine di collaborare con le forze dell’ordine nel caso di ingerenze o di qualsiasi tipo di azione criminosa che possa interferire nella realizzazione del film stesso». Le ditte, inoltre, dovranno specificare un elenco dei fornitori, indicando sede legale e tipologia del servizio commissionato, sottoscritto dal legale rappresentante della casa di produzione.

«Il Protocollo Carlo Alberto dalla Chiesa è un importante strumento che agisce, quindi, in forma preventiva – conclude il presidente Di Miceli – ma stiamo comunque studiando ulteriori forme, ancora più incisive in tal senso».

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