Pubblicato: mar, 19 Nov , 2013

Detenzione di esplosivo, Ciancimino condannato a tre anni

Confermate dal Gup di Palermo le richieste fatte dall’accusa la scorsa settimana

 

Presentazione del libro ' Don Vito. Le relazioni segrete tra stato e mafia nel racconto di un testimone di eccezione '

Massimo Ciancimino

Il Giudice dell’udienza preliminare Daniela Cardanone ha condannato Massimo Ciancimino a tre anni di carcere e 20mila euro di multa (più il pagamento delle spese processuali e l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici) per detenzione e cessione di esplosivo. Due anni, pena sospesa, la condanna inflitta al coimputato Giuseppe Avara, oltre alla sanzione pecuniaria di 10mila euro, per il reato di detenzione di esplosivo. Il giudice non ha concesso le circostanze attenuanti a nessuno dei due imputati.

«Accettiamo la sentenza, ma non la condividiamo  – ha dichiarato a caldo l’avvocato di Ciancimino, Roberto D’Agostino –. Ricorreremo in appello e continueremo a chiedere le attenuanti». «Le conclusioni alle quali è giunto il pm – ha detto l’altro legale, l’avvocato Francesca Russo – sono quantomeno riduttive. Non possiamo non essere certi che Ciancimino abbia ricevuto il sacchetto contenente materiale esplosivo a scopo di minaccia. A questo punto non è più un problema di diritto, ma di ingiustizia sociale».

Insieme ai candelotti di tritolo, erano state fatte recapitare a Ciancimino una lettera minatoria e una foto che ritraeva il figlio mentre usciva da scuola. Motivo, quest’ultimo, per il quale avrebbe taciuto inizialmente sull’accaduto e deciso di trasportare il materiale esplodente, una volta reso inoffensivo, da Bologna a Palermo, nell’intento di disfarsene. Ecco perché, hanno ribadito oggi gli avvocati, «non ci sono fini propri del reato nella detenzione dell’esplosivo. Massimo Ciancimino non aveva scelta e ha agito sotto una forte pressione psicologica». Le minacce, infatti, non erano più rivolte esclusivamente alla sua persona, ma ai suoi familiari.

Il collegio difensivo aveva chiesto l’assoluzione sia per Ciancimino che per Avara, perché «il fatto non costituisce reato», invocando lo «stato di necessità», secondo l’art.54, comma 3, del Codice penale; e il riconoscimento delle attenuanti generiche, le quali, invece, sono state sempre rigettate dai pubblici ministeri Paolo Guido e Nino Di Matteo. Senza il riconoscimento di tali attenuanti da parte della Procura di Palermo, è stato impossibile scendere al di sotto dei 3 anni di condanna per il testimone chiave del processo sulla trattativa Stato-mafia.

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