Pubblicato: mer, 22 Gen , 2014

Depositate prime intercettazioni di Riina contro Di Matteo

Il boss, mentre parla con il capo della Sacra Corona Unita, progetta attentati: «Facciamola grossa». E su Napolitano: «Non dove testimoniare»
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Il pm Nino Di Matteo

Deliri di onnipotenza di un vecchio che si sente come un leone in gabbia. Riina, in gabbia, c’è davvero, ma quando ruggisce per lanciare maledizioni e ordini di morte, lo fa durante l’ora d’aria dal carcere milanese di Opera, dialogando con un altro detenuto, il capomafia della Sacra Corona Unita Alberto Lorusso. E mentre passeggia nel cortile e conversa sopra i massimi sistemi del (suo) mondo mafioso, microspie e telecamere registrano tutto. La prima parte delle intercettazioni ambientali, effettuate dalla Dia tra il 16 settembre e il 18 novembre 2013, è stata depositata dai pm un paio di giorni fa nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia. Ciò che emerge dalle registrazioni è una serie infinita di minacce e propositi di vendetta contro i magistrati palermitani e in particolare contro Nino Di Matteo, diventato da mesi il suo chiodo fisso. È suo, infatti, il nome che ricorre più spesso nei progetti di morte del boss di Cosa nostra.

Le minacce a Di Matteo. «Di questo processo, questo pubblico ministero di questo processo – dice Riina parlando con Lorusso – che mi sta facendo uscire pazzo, per dire, come non ti verrei ad ammazzare a te, come non te la farei venire a pescare, a prendere tonni. Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono. Ancora ci insisti? Minchia…. perché me lo sono tolto il vizio? Me lo toglierei il vizio? Inizierei domani mattina». Il boss dei corleonesi vuole dimostrare di non avere paura di Di Matteo. «Vedi, si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati, ma a me non mi intimorisce». E sul progetto di compiere un attentato: «Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo… Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari». E ancora, mimando il gesto di fare in fretta e simulando il rumore di un’esplosione: « Non devo avere pietà di questi, come loro non hanno pietà. […] Allora organizziamola questa cosa. Facciamola grossa e non ne parliamo più».

Riina è un fiume in piena. Come un profeta del male assoluto, lancia messaggi per tutti. Dal presidente della Repubblica a Silvio Berlusconi, dai fratelli Graviano fino a Matteo Messina Denaro. E lo fa compiacendosi del passato da grande capomafia, quasi rimpiangendo quei giorni di gloria e parlando persino in terza persona. «Totò Riina aveva il Paese nelle mani, comandavo io per trent’anni, quarant’anni. […] Ne dovrebbero nascere mille l’anno come Totò Riina, mille l’anno. I nemici li ho cercati e li ho trovati! Cosa voglio di più dalla giustizia se la giustizia me la sono fatta io? La giustizia io l’ho fatta, io l’ho fatta la giustizia giusta». In un’altra occasione, discutendo sempre col compagno dell’ora della cosiddetta “socialità” nel carcere di Opera: «Mi sento ancora in forma, mi sento ancora in forma, porca miseria. A me non devono insegnare nulla. Io pure che ho cento anni…sono un uomo e so quello che devo fare, pure che ho cento anni. Se io restavo fuori, io continuavo a fare un macello, continuavo, al massimo livello. Ormai c’era l’ingranaggio, questo sistema e basta. Minchia, eravamo tutti, tutti mafiosi». Ed è proprio Lorusso ad aggiornarlo quasi in tempo reale in merito alla richiesta della Procura di Palermo che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, venga a testimoniare al processo sulla trattativa.

«Napolitano non deve testimoniare». L’esponente della Scu lo informa che  tv e giornali rilanciano le dichiarazioni del vice presidente del Csm, Michele Vietti e di altri politici che ritengono inopportuna l’audizione del Capo dello Stato. Riina è d’accordo: «Fanno bene, fanno bene… ci danno una mazzata… ci vuole una mazzata nelle corna… a questo pubblico ministero di Palermo». Al che, dalle intercettazioni, si sente Lorusso dire: «Sono tutti con Napolitano dice che non ci deve andare. Lui è il presidente della Repubblica e non ci deve andare». Riina replica: «Io penso che qualcosa si è rotto». E poi nuovamente i riferimenti a Di Matteo: «Di più per questo, per questo signore che era a Caltanissetta, questo che non sa che cosa deve fare prima. È un disgraziato… minchia è intrigante, minchia, questo vorrebbe mettere a tutti, a tutti, vorrebbe mettere mani… ci mette la parola in bocca a tutti, ma non prende niente, non prende…».

«Matteo Messina Denaro pensa solo a se stesso». Durante l’intercettazione ambientale del 30 ottobre, il padrino di Corleone si lamenta del superlatitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. «A me dispiace dirlo questo signor Messina, questo che fa il latitante che fa questi pali … questi pali eolici… i pali della luce. E il boss pugliese, di rimando, gli dice: «Pensa solo a se stesso, pazienza». Riina replica: «No, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce ovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi, per prendere soldi», riferendosi al business dell’energia eolica in cui Messina Denaro è coinvolto. «Ci farebbe più figura se se la mettesse in culo la luce». Il capo dei capi ricorda anche il padre di Messina Denaro: «Ah, se ci fosse suo padre buonanima, perché suo padre era un bravo cristiano, ‘u zu Ciccio era di Castelvetrano, però… e devo dire la verità ha fatto tanti anni di capomandamento a Castelvetrano, a lui gli ho dato la possibilità di muoversi libero… però era un cristiano perfetto, un cristiano, un orologio, lo chiamavo ‘u rugiteddu. Questo qua, questo figlio lo ha dato a me per farne quello che ne dovevo fare, è stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia, tutto in una volta».

Il riferimento alle stragi. Con un sorriso che somiglia più ad un ghigno, racconta a Lorusso di quando fu ucciso il giudice Rocco Chinnici, fatto saltare in aria davanti casa con un’autobomba il 29 luglio del 1983. «Quello là salutava e se ne saliva nei palazzi. Ma che disgraziato sei, saluti e te ne sali nei palazzi. Minchia e poi è sceso, disgraziato, il procuratore generale di Palermo». Il capomafia corleonese descrive quindi l’esplosione, alla quale assistette da lontano, e rivendica con orgoglio quell’attentato, dimostrando immutato disprezzo per le vittime. «Per un paio d’anni mi sono divertito. Minchia che gli ho combinato». Nelle lunghe conversazioni, Riina fa cenno anche a Falcone: «Loro pensavano che ero un analfabeticchio, così la cosa è stata dolorante, veramente fu tremenda quando non se l’immaginavano. […]Era imprevedibile, disgraziato… Perciò quando ci siamo messi appresso alla macchina che parte, ci siamo andati appresso… lo seguivamo…  Il suo cervello ci ha portato il nostro alla pari… Fu una mangiata di pasta». Non dimentica nemmeno le stragi del 1993, la cui responsabilità la scarica su Provenzano: «Se io sono siciliano, perché le devo andare a fare fuori dalla Sicilia?». Parlando del cognato Leoluca Bagarella aggiunge: «Hai fatto quello che ti ha detto lui, “te ne devi andare fuori a farli”… e se n’è andato a Firenze. Gli ho detto: Che ci vai a fare a Firenze, a Firenze ci devi mandare a lui, a Binnu Provenzano. Binnu Provenzano è cresciuto nelle mie mani, è cresciuto con me, perciò poteva essere un personaggio come me, purtroppo». Ne ha anche per i fratelli Graviano, capimafia di Brancaccio: «I Graviano per me non contano, non hanno mai contato né contano… Devi dirigere a me che me ne devo andare a Firenze? Io me ne vado nella piazza di Palermo, incomincio a cercare chi di dovere!».

Berlusconi e Dell’Utri. Il 20 settembre 2013 i due detenuti discutono anche di Silvio Berlusconi. «Se lo merita, se lo merita – dice Riina a Lorusso – gli direi io, “ma perché ti sei andato a prendere lo stalliere (il riferimento si presume sia a Vittorio Mangano, condannato per mafia e morto nel 2000, ndr.)? Perché te lo sei messo dentro?». In verità, già la mattina del 6 agosto, Lorusso aveva fatto cenno alle vicende dell’ex premier, parlando della condanna definitiva dell’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. Secondo il mafioso pugliese, la condanna poteva torcersi contro lo stesso Berlusconi, ma a quel punto viene interrotto da Riina: «Come finisce poi si vede», per poi aggiungere: « Noi su Berlusconi abbiamo un diritto: sapete quando? Quando siamo fuori lo ammazziamo. Non lo ammazziamo però perché noi stessi non abbiamo il coraggio di prenderci il diritto».

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