Crollo della Borsa di Shanghai.
Preoccupa il mondo la difficile situazione dell’economia cinese.
– di: Anna Zhang –
Doveva accadere, tutto lo annunciava: il calo della produzione industriale e l’immotivato e miope eccesso di negoziazioni.
Il tracollo verticale della Borsa di Shanghai, in Cina, ha fatto bruciare 2500 miliardi di euro di ricchezza in sole 3 settimane, una perdita del 32%, 11 volte il pil della Grecia, 6 volte il suo debito pubblico. Il paese che più ne risentirebbe della crisi cinese sarebbe, almeno in Europa, la Germania, prima esportatrice verso il colosso asiatico. Nulla è più insicuro dei mercati finanziari e volatili le fortune che in esso si creano e si distruggono da un giorno ad un altro, come bolle di sapone che scoppiano con tragica ricorrenza al minimo soffio.
I segnali che la potenza economica cinese stesse in affanno, dunque, erano molti. Ma la sordità e la cecità sono compagni del sistema. La speculazione azionaria, pure negli ultimi giorni, è stata qualcosa di demenziale, si operava in Borsa per valutazioni folli, irrealistiche, un fenomeno di massa che ha visto come protagonisti anche centinaia di milioni di piccoli risparmiatori. Le speculazioni nel capitalismo finanziario sempre più di sovente si fondano sui debiti, un meccanismo infernale e perverso, gli operatori cinesi si facevano prestare soldi dalle banche offrendo in garanzia i titoli acquistati. Una collettiva perdita di senno.
Adesso diversi analisti finanziari, bravi col senno di poi, hanno detto che quello che si profila all’orizzonte “potrebbe essere il 1929 cinese”, riferimento al crollo di Wall Street. Forse è vero, o forse chi canta d’estate poi si lacera le vesti d’inverno. Fatto sta che 1400 titoli, il 50% del totale quotato, sono stati sospesi per eccesso di ribasso. La pazzesca crescita del mercato azionario di Shanghai avrebbe dovuto far dubitare prima.