Pubblicato: sab, 24 Dic , 2022

Condanna definitiva per mafia per il boss Leo Sutera

Reggente di Sambuca di Sicilia e della mafia agrigentina, è ritenuto uno dei vertici di Cosa nostra e tra i fedelissimi di Messina Denaro.

La Prima sezione penale della Cassazione, nell’ambito del processo ‘Borgo dei Borghi’ ha dichiarato la sentenza di condanna per mafia a carico di Leo Sutera,“’u professuri”, ritenuto tra gli uomini più fidati di Matteo Messina Denaro e per anni ai vertici di Cosa Nostra agrigentina, capomandamento di Sambuca.

In primo grado Sutera era stato condannato a 18 anni. La Corte di Appello di Palermo aveva ridotto la pena, nonostante il procuratore generale avesse chiesto la condanna a vent’anni, producendo una documentazione volta a dimostrare i contatti tra i Sutera e il collaboratore di giustizia Vito Bucceri, reggente della famiglia mafiosa di Menfi. Il Bucceri, come anche i collaboratori Calogero Rizzuto e prima ancora Giovanni Brusca, hanno spiegato come Sutera fosse un punto di riferimento per la zona: si doveva passare attraverso di lui per qualsiasi cosa, appalti, lavori pubblici e privati. Il boss in particolare aveva messo le mani su due importanti subappalti, uno dei quali denominato “il paese albergo”, puntava ai finanziamenti destinati alla riqualificazione di Sambuca di Sicilia, dopo che era stato proclamato come il Borgo più bello d’Italia.

Anche se Sutera era sorvegliato speciale, incontrava i boss di mezza Sicilia; con quelli trapanesi e palermitani programmava la ristrutturazione di Cosa nostra. Non si fidava di nessuno e dopo le diverse catture per mafia aveva preso le sue contromisure con un’attenzione maniacale verso microspie e intercettazioni. A casa sua, è stato trovato anche uno scanner collegato alle frequenze della Polizia e un frequenziometro per rilevare la presenza di trasmettitori. Un’amicizia importante con Matteo Messina Denaro, rapporti eccellenti anche con Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. Sutera è considerato il punto di riferimento dell’organizzazione criminale nell’agrigentino. Dalle indagini emergono gli affari del clan, estorsioni, l’obbligo imposto alle ditte appaltatrici dei lavori ad approvvigionarsi presso le imprese compiacenti, assunzioni e subappalti, ma anche la strada sbarrata a quelle che lui escludeva dal mercato. Documentato il ricorso ai pizzini, dalle indagini emergono i contatti con Messina Denaro. L’arresto del Sutera sottolinea la centralità del territorio agrigentino per Cosa nostra.

Nel dicembre 2022 arriva la sentenza definitiva, la Cassazione gli ha inflitto 14 anni e sei mesi di reclusione. Sutera risponde di associazione per delinquere di tipo mafioso. Per gli inquirenti era tornato operativo e aveva ripreso a gestire attività mafiose, dopo l’ultimo arresto nell’operazione Nuova Cupola, in cui era già stato condannato a 4 anni di reclusione per associazione mafiosa. Dalle risultanze investigative è emerso «che ha ricostruito i suoi interessi criminali. Sutera avrebbe impartito direttive attraverso la costante partecipazione a riunioni ed incontri con gli altri associati e presieduto a tutte le attività, curando personalmente le ingerenze del clan in appalti ed opere pubbliche, nonché assicurando il collegamento con altre articolazioni territoriali di Cosa nostra». Il boss di Sambuca ha potuto contare sull’apporto di diversi sodali particolarmente attivi, che lo hanno aiutato ad eludere le indagini, salvaguardandone gli spostamenti e le comunicazioni. Era costantemente informato dell’esistenza di telecamere e di possibili attività investigative nei suoi confronti. Rintracciati diversi soggetti che gli hanno messo a disposizione mezzi e risorse, tra cui un immobile utilizzato per gli incontri del clan.

Il nome di Sutera è legato fortemente alle dinamiche della mafia siciliana, in particolare alle ultime convergenze dei boss delle tre province – Palermo, Trapani e Agrigento – che hanno agito per interessi comuni. La conferma è arrivata dalla ricostruzione di alcuni summit. All’ultimo, super riservato, avrebbe partecipato Matteo Messina Denaro, ispiratore della stagione del dialogo. Ed è sicuro come tutte e tre le province siano coinvolte nei progetti del boss di Castelvetrano. Progetti che vedono il suo interessamento in prima persona. Affari dei corleonesi, come la famiglia mafiosa di origine. La stessa da cui sarebbe partita una richiesta precisa, dal carcere qualcuno avrebbe indicato in Messina Denaro l’uomo giusto per difendere gli interessi dei corleonesi detenuti. E pare proprio che ci stia riuscendo.

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