Pubblicato: sab, 15 Feb , 2014

Collaboratori di giustizia: sostegno da Don Ciotti e M5S. E tutti gli altri?

 Riccardo Nuti presenta interrogazione parlamentare ricordando il caso Lea Garofalo: «Pentiti a rischio incolumità nelle località protette»
Riccardo-Nuti

Riccardo Nuti (Mov5Stelle)

«Controlli e invio di ispettori ministeriali per garantire la sicurezza dei testimoni e dei collaboratori di giustizia». È quanto scrive nell’interrogazione al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, presentata un paio di giorni fa dal presidente del gruppo parlamentare alla Camera del Movimento 5 Stelle, Riccardo Nuti. «L’incolumità di questi soggetti – si legge – sarebbe, infatti, messa a rischio dalla vicinanza nelle località protette con soggetti malavitosi, provenienti dal medesimo territorio se non, addirittura, appartenenti alle stesse famiglie criminali».

L’oggetto dell’atto parlamentare trae spunto, in particolare, dalla situazione del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, calabrese e attualmente residente con la famiglia a Termoli, Molise, nell’ambito di un programma di protezione che, come avevamo evidenziato già lo scorso dicembre, fa acqua da tutte le parti. «Bonaventura – scrive Nuti – è costretto a dividere lo spazio fisico della cittadina dove si trova con altri testimoni e collaboratori di giustizia, provenienti dalla sua stessa area geografica». Non solo. Come ha raccontato più volte lo stesso pentito, sarebbe stato vittima di «incresciosi episodi di persuasione e di pressione, connessi al suo status. Tra cui le minacce di morte da parte di affiliati alla cosca Ferrazzo». A nulla sembrerebbe quindi valso il ricorso presentato da Bonaventura al Tar del Lazio in materia inerente la residenza in questione. Come a niente, si direbbe, servano i numerosi appelli lanciati anche da altri collaboratori di giustizia che vivono pressoché la medesima drammatica situazione.

Che sia esclusivamente la lenta e farraginosa burocrazia italiana ad essere ostacolo ad una vita più serena quanto meno per i familiari dei pentiti che hanno scelto di favorire il compito della giustizia, è difficile crederlo.

«L’area in cui è stato collocato sotto protezione il signor Bonaventura – ricorda ancora il deputato grillino – è la stessa della signora Lea Garofalo, la quale è stata facilmente raggiunta da tre sicari nel novembre del 2009, ed uccisa dopo essere stata torturata. In ogni caso, ad avviso degli interroganti, la situazione logistica di sicurezza del signor Bonaventura è seriamente compromessa, così come quella di altri casi similari». Ormai quasi un anno fa, il Servizio Centrale di Protezione ha riconosciuto al pentito come legittimi e fondati i timori da lui più volte segnalati e ha disposto il trasferimento all’estero in una località più sicura. Ma Luigi è ancora qui, a Termoli, sotto misure di protezione a dir poco evanescenti, tra chi non nasconde di volerlo vedere morto e chi, dopo essersene servito in diversi processi di mafia considerandolo un prezioso e attendibile testimone, preferisce ora nuotare in un mare d’indifferenza.

Lasciati completamente soli, quotidianamente esposti a pericolo della loro vita e quella dei loro cari, recentemente hanno dato vita ad una realtà di prossima istituzione. Si tratta del Comitato per i diritti e della sicurezza dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari. Il Comitato nasce da un’esigenza comune: «Fare in modo che le attuali leggi esistenti per la gestione dei CdG vengano applicate, cosa che purtroppo non accade, e informare in modo costante e veritiero l’opinione pubblica delle gravi violazioni, vessazioni e incertezze in cui vivono degli esseri umani che, pur rispettando le regole di un contratto “bilaterale” con lo Stato, gli impegni assunti con la giustizia, vivono nella funesta condizione dell’inadempienza della controparte».

Qualcosa però, fortunatamente, sembra muoversi. L’interrogazione parlamentare del Movimento 5 Stelle è già un importante segnale di sostegno di una parte delle Istituzioni. Fino ad oggi non c’era stata nemmeno quella. Ed essa giunge dopo la solidarietà manifestata a Luigi Bonaventura in persona da don Luigi Ciotti, durante un incontro pubblico tenutosi proprio a Termoli poco più di una settimana fa. «Un momento di grande affetto, comprensione ed empatia», ha raccontato l’ex boss della ‘Ndrangheta. «Mi conosceva e credo conoscesse bene la mia vicenda. Mi ha detto di non mollare, di andare avanti. Mi ha chiesto anche dei miei bambini, quanti anni hanno, quanti siamo in famiglia. Si è preso il mio numero e mi ha detto che mi chiamerà prestissimo. Mi ha fatto una carezza di affetto. Alla fine c’è stato un sentito saluto e un grande scambio di vicinanza reciproca. Insomma, ho visto grande rispetto per il mio pentimento e la mia conversione. Mi ha detto che farà di tutto per far rispettare le leggi a mio favore». Un gesto che Bonaventura attendeva da tempo da parte del sacerdote fondatore di Libera, al quale aveva rivolto diversi appelli, e che giunge adesso inaspettato, certamente in contrasto con alcune affermazioni che Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di tale associazione, fa da mesi proprio contro il pentito. Veri e propri attacchi mediatici, nei quali viene messa persino in dubbio la sua credibilità. Compito che spetta peraltro esclusivamente alla magistratura, la quale, come detto più volte, si è già espressa in suo favore.

Quando capirà una volta per tutte anche lo Stato che la retorica non serve a niente, tantomeno dei pentiti trasformati in “eroi” perché si è stati incapaci di proteggerli?

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