Pubblicato: dom, 8 Giu , 2014

Cattiva reputazione dell’Italia, in calo gli investimenti stranieri -58%

Diminuisce la capacità di attrarre capitali stranieri. Occupiamo il 65° posto nel mondo per procedure, tempi e costi necessari per avviare un’impresa, ottenere permessi di costruzione, risolvere una controversia giudiziaria. Ecco la pagella del Belpaese

investimentiCrollo degli investimenti diretti esteri in Italia. Nel 2013 sono scesi a soli 12,4 miliardi di euro. Rispetto al 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi, l’iniezione di capitali che potrebbero rilanciare la crescita e favorire l’occupazione sono diminuiti del 58%. I momenti peggiori sono stati il 2008, l’anno della fuga dei capitali, in cui i “disinvestimenti” hanno superato i nuovi investimenti stranieri, e il 2012, l’anno della crisi del debito pubblico. Certamente la crisi ha colpito tutti i Paesi a economia avanzata, ma l’Italia si è distinta per la perdita di attrattività verso i capitali stranieri. Nonostante sia ancora oggi la seconda potenza manifatturiera d’Europa e la quinta nel mondo, il nostro Paese detiene solo l’1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro il 2,8% della Spagna, il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia, il 5,8% del Regno Unito. A fare la differenza è la reputazione, elemento decisivo per riuscire ad attrarre investitori, purtroppo l’Italia ha un deficit reputazionale accumulato negli anni a causa di corruzione diffusa, scandali politici, pervasività della criminalità organizzata, lentezza della giustizia civile, farraginosità di leggi e regolamenti, inefficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture carenti.

Nonostante nostri «fondamentali» (il made in Italy, le eccellenze manifatturiere, l’italian way of life, le «grandi bellezze» artistiche e paesaggistiche) siano più che solidi, il giudizio complessivo su di noi è influenzato in maniera decisiva dai mali sopra ricordati, con il risultato di far crescere, tra le altre cose, lo spread. L’Italia occupa il 65° posto nella graduatoria mondiale dei fattori determinanti la capacità attrattiva di capitali per un Paese, considerando le procedure, i tempi e i costi necessari per avviare un’impresa, ottenere permessi edilizi, allacciare una utenza elettrica business o risolvere una controversia giudiziaria su un contratto. Siamo ben lontani dalle prime posizioni di Singapore, Hong Kong e Stati Uniti, ma anche da altri paesi europei come Regno Unito e Germania, posizionati rispettivamente al 10° e al 21° posto. In tutta l’Europa solo Grecia, Romania e Repubblica Ceca presentano condizioni per fare impresa più sfavorevoli delle nostre. Per ottenere tutti i permessi, le licenze e le concessioni di costruzione, in Italia occorrono mediamente 233 giorni contro i 97 in Germania. Per l’allacciamento alla rete elettrica servono 124 giorni in Italia e 17 in Germania. Per arrivare a giudizio per una disputa riguardante un contratto commerciale in Italia sono necessari, mediamente, in media 1.185 giorni, 394 a Berlino. Secondo la classifica del Reputation Institute di New York, che si basa su 42.000 interviste volte a misurare fiducia, stima, ammirazione, interesse verso un campione selezionato di 50 Paesi, nel 2013 l’Italia si colloca in 16ª posizione, ma abbiamo perso 4 posizioni rispetto al 2009, quando eravamo al 12° posto. L’Italia ha un ottimo ranking per quanto concerne indicatori come lo stile di vita, ma è penalizzata da i fattori di sostegno allo sviluppo. Ne discende il forte interesse per il nostro Paese nel turismo e per l’acquisto di beni a elevata valenza simbolica, molto meno come area di destinazione di investimenti.

Il rapporto Censis, nel fare la pagella dell’Italia, ricorda anche i punti di forza. Siamo un Paese che esporta grazie alla qualità della nostra manifattura. L’Italia è tutt’oggi l’11° esportatore al mondo, con una quota del 2,7% dell’export mondiale. L’Italia è ancora la 5ª destinazione turistica al mondo (dopo Francia, Usa, Cina e Spagna), con più di 77 milioni di stranieri che varcano ogni anno le nostre frontiere (+4,1% tra il 2010 e il 2013). Siamo anche un Paese molto presente nel resto del mondo. Si stimano in circa 60 milioni le persone di origine italiana residenti all’estero (15 milioni solo negli Usa), sono più di 20.000 le imprese a controllo nazionale localizzate oltre confine (con 1,5 milioni di addetti e 420 miliardi di euro di fatturato), sono 25.000 le imprese associate alla rete di 81 Camere di commercio italiane presenti in 55 Paesi, sono 4,3 milioni gli italiani residenti all’estero e il loro numero cresce rapidamente (+132.000 nell’ultimo anno). E siamo un Paese che scambia cultura: 2.673 i ricercatori italiani attualmente operanti all’estero, 23.400 gli studenti italiani inseriti nel programma Erasmus, 62.580 i giovani italiani che studiano in università straniere. E se la disoccupazione giovanile ha raggiunto la quota record del 46% nel primo trimestre 2014, il valore più alto dal 1977, tanto da collocarci agli ultimi posti della graduatoria europea, l’Italia è prima in Europa per numero di giovani «own account workers», ovvero lavoratori in proprio e senza dipendenti: 1,3 milioni sotto i 40 anni nel 2013, circa il 15% degli occupati di questa fascia di età, il doppio della media dell’area dell’euro (7,5%). Tutto questo non deve farci dimenticare quello che resta, in ogni caso, uno dei più gravi punti di debolezza: il sistema dell’istruzione. I laureati italiani, fra 30 e 34 anni, sono ancora pochi, solo il 22,4%. Un dato molto distante da quello di Gran Bretagna (48%), Francia (44%) e Germania (33%). Note dolenti anche nelle competenze degli adulti di età compresa tra i 16 e i 65 anni: l’Italia è ultima per competenze «alfabetiche» (linguistiche ed espressive) rispetto a tutti gli altri 24 Paesi considerati dall’Ocse.

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