Pubblicato: lun, 6 Feb , 2017

Castiglion Fibocchi: le maschere

Il Carnevale, i colori vivaci, i travestimenti, i misteri.

 

     A pochi chilometri da Arezzo, città nella quale ha sede Banca Etruria, lungo l’antica strada Cassia Vetus aperta dai romani, Castiglion Fibocchi sorge sui pendii di una tipica, dolce collina toscana, un piccolo paese di origine medievale. Questa è terra di economie solidali, municipalità, cooperativismo ma anche, e neppure molto tempo fa, di intrighi. Queste campagne toscane sono state rese belle, oltre che dalla natura, dal lavoro operoso e sociale dell’uomo; ma pure, rancorosa, si è annidata la reazione, prima e anche dopo la Liberazione.

Il territorio comunale conta 2.201 abitanti e si estende per 25,7 chilometri quadrati. Un paese così piccolo parrebbe un luogo che facilmente la Storia, quella con la a maiuscola, dimentica. E invece Castiglion Fibocchi ci richiama ai più foschi e loschi misteri dell’Italia repubblicana.

Ne è sindaco Salvatore Montanaro, pensionato come prefetto, ex funzionario della Polizia di Stato ha diretto l’Ispettorato Generale di P.S. presso la Camera dei Deputati e poi ha assunto la Direzione Interregionale della P.S. per Toscana, Umbria e Marche; ha fatto parte del Consiglio di amministrazione del Ministero dell’Interno. Ed è come una opera teatrale il fatto che un integerrimo dirigente della Polizia sia sindaco di un minimo borgo che ha avuto, come suo cittadino più conosciuto, un personaggio tanto inquietante per la tenuta istituzionale della nazione quale Licio Gelli. Ma sgombriamo subito il campo da qualsiasi cattiva illazione e strumentalizzazione: Castiglion Fibocchi e il suo primo cittadino non hanno nulla a che spartire, tranne che l’iscrizione anagrafica, con il venerabile massone, peraltro già morto e uscito di scena da più anni, né con ciò che egli è stato nella cronaca criminale, nella politica corrotta, nella devianza istituzionale degli anni bui della storia patria.

L’evento annuale che rende invece rinomato questo comune è il Carnevale “dei figli di Bocco”, uno dei più antichi d’Italia. Attestato dal XII secolo d.C., interrotto nel XIV secolo, rimase di fatto tuttavia sempre vivo, tanto che si narra che nel 1698 un orso circense si rifiutò di salire nel Piazzone per paura di essere fatto ballare. In un documento ritrovato presso gli ex monaci di “Romitorio”, datato 2 maggio 1174 si attesta che in “Castellione de filiis Bocchi” i bifolchi e i signori festeggiavano insieme la “festa de Carnesciale”, prova lampante dello spirito goliardico di questo evento in cui, nello spazio libero di alcuni giorni di follia venivano annullate le gerarchie e le differenze sociali. Fu indetto già nel ‘900 il rito della famosa “pastasciutta”, che continua ancora oggi. Sembra che l’usanza derivi dall’antica tradizione contadina di portare in piazza le “caldaie”, in origine usate per cuocere le verdure destinate agli animali e in seguito adattate alla cottura della pasta.

Le bellissime maschere del Carnevale dei Figli di Bocco ricordano, fatte le dovute proporzioni, il Carnevale di Venezia. Tanto che sono state chiamate più volte a sfilare in occasione di importanti eventi culturali, sia in città italiane che estere e hanno ottenuto importanti riconoscimenti. Gli oltre 200 figuranti, uomini e donne, indossano meravigliosi costumi con il volto nascosto da preziose maschere di cartapesta in uno sfavillio di colori che animano le stradine del piccolo, suggestivo borgo, sembrano muoversi in una dimensione senza tempo, quella dimensione conturbante e ambigua che può essere magia od opaco velo. Un originale spettacolo e una sfilata di creazioni di egregia dimensione artistica.

Il visitatore si ritrova immerso in una festa in cui dominano animazioni, mascherature e costumi barocchi, con tutti gli splendori e le pieghe oscure di quello stile. Pare, quasi, che il mistero delle maschere intenda evocare, per l’intensità rappresentativa e magica del teatro, i misteri d’Italia.

In verità anche questo luogo non può che evocare, malgrado la sua quiete e l’estraneità dei suoi abitanti , le vicende cupe dell’oscuro potere d’Italia che fu(ed è ancora?), anche durante la Repubblica, anzi contro la Repubblica, massone, fascista, mafioso, criminale, corrotto: le maschere, i burattini, i burattinai, il carnevale delle ombre e dei volti nascosti. I Servizi deviati, le stragi di Stato, le esecuzioni di strada, gli imprenditori versati nel reato e dunque protetti, le menti raffinatissime, l’ipocrisia curiale.

E a Castiglion Fibocchi, per la maledizione incolpevole di ritrovarsi un concittadino come Licio Gelli, il venerabile della loggia P2, potere occulto d’Italia, furono rinvenute alcune delle liste di affiliati al progetto di attentato alla Costituzione, peraltro già al primo atto nel lontano primo maggio del 1947 a Portella delle Ginestre. E ancora qui si trova la “Lebole” che è stata leader nel tessile, anche se adesso rimane maggiormente un ricordo che una presenza. Mario Lebole venne trovato ucciso con un colpo di pistola alla tempia. Era stato il fondatore di quella che appunto costituì uno dei più importanti esempi di industria dell’abbigliamento italiana. Era uno degli uomini più fidati di Gelli e un piduista, gli aveva ceduto Villa Wanda, all’ingresso del borgo, ed era consigliere di amministrazione di Banca Etruria, dove fra l’altro il venerabile aveva a disposizione il conto “Primavera”, sul quale diversi affiliati versavano le proprie quote di partecipazione e pertanto uno strumento delle manovre di gestione del potere corrotto.

Ma ribadiamolo ancora una volta: con tutto ciò il piccolo paese lindo non c’entra nulla. Il fatto è che quando uno Stato è conquiso dalla corruzione, qualsiasi parte degli apparati o del territorio ne potrebbero rimanere inquinati o semplicemente subire l’onta di vicende colà verificatesi.

Fulvio Turtulici

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