Pubblicato: ven, 30 Set , 2022

Calabria e la guerra degli autobus

come ci si sposta al sud 

Appena scesi dall’auto o usciti dalla stazione, occorre superare gli sfracelli di una fraintesa modernità e ricercare quel tanto e davvero mirabile che resta dell’anima della Calabria. Viaggiare al sud è un inferno che mette a dura prova chiunque, e se è vero che prima di raggiungere il paradiso azzurro serve dimostrare il proprio valore, qui certo le prove di sopravvivenza non mancano. La Calabria non è per tutti, deve essere voluta tenacemente, perchè è complessa da raggiungere e da amare, ma, come scriveva la poetessa Kazimiera Alberti, questa terra è davvero eccezionale. Un magico scrigno da scoprire e proteggere, un incanto che merita molto di più, in cui invece le poche infrastrutture disponibili sono ad oggi debolmente integrate tra loro e sono caratterizzate da una bassa qualità funzionale, con un impatto negativo sullo sviluppo economico regionale. Lontani dai parametri di efficienza ed efficacia, si aggiunge la mancata attuazione dei piani concernenti la mobilità sostenibile. Oggi il mondo è tutto interconnesso, si dovrebbe quindi sfruttare la tecnologia per il benessere e il miglioramento delle condizioni di vita, risparmiare tempo e godere di standard qualitativi più alti. Muoversi in maniera agile e veloce significa crescere ed assumere una posizione di centralità. Non avere i mezzi di trasporto equivale ad essere tagliati fuori da tutto, perdere posti di lavoro e nuove occasioni, scuola e formazione. Ne risentono inevitabilmente anche il turismo, la sanità, le attività commerciali e l’import/export.

Uno studio del 2021 di Demoskopika ha quantificato in 2,2 miliardi di euro la stima dei proventi della criminalità organizzata derivante dalla infiltrazione economica nel comparto turistico italiano. Di questi, ben 810 milioni sarebbero ad appannaggio della ‘ndrangheta: il 37% degli introiti complessivi. A seguire la Camorra con 730 milioni (33%) e la mafia con 440 (20%) e criminalità organizzata pugliese e lucana con 220 (10%). Le risultanze investigative hanno documentato la presenza massiccia dei clan nelle zone turistiche, in particolare Scilla e dintorni, nelle assegnazioni delle concessioni degli stabilimenti balneari (inchiesta Lampetra). Dagli hotel ai villaggi vacanze, passando per la gestione dei traghetti turistici (inchiesta Costa Pulita), la ndrangheta si prende pure gli enormi complessi del luxury da costruire, oltre ai villaggi Valtur (inchiesta Rinascita Scott, Imponimento, Alibante). Le recenti inchieste concretizzate dalla Dda di Catanzaro, guidata dall’illustre dott. Nicola Gratteri, hanno dimostrato anche la rete di protezioni di cui godevano alcuni clan, specialmente nelle amministrazioni comunali, per superare eventuali ostacoli o lungaggini burocratiche. Emergono gli appetiti sui porti turistici, come Tropea, Soverato e Badolato. Aste pilotate e investimenti delle varie famiglie del crotonese (inchiesta Malapianta, Infectio); documentati i desideri, spesso realizzati, dei clan su opere importanti come il porto turistico di Le Castella e su Capo Colonna, tesoro archeologico.

Alla ndrangheta piace fare affari con il turismo, ma non lascia la presa sui trasporti, che pure infiltra ed inquina, rendendo di fatto impossibile gli spostamenti. Da decenni si parla del ponte (o del tunnel) sullo stretto per congiungere Calabria e Sicilia, ma i troppi business collaterali non hanno mai consentito di realizzarlo. Da Lamezia non vi sono collegamenti efficienti con città e paesi, addirittura la rete ferroviaria presenta un binario solo che non è mai stato ampliato per arrivare sul lato jonico. Una linea dell’800, non ancora elettrificata; viaggi di quattro ore per percorrere pochi chilometri. La tratta è utilizzata per lo più da lavoratori pendolari e studenti, ma le anziane littorine e la rete priva di ogni moderno comfort rendono ancor più pesanti gli spostamenti quotidiani. Il porto di Gioia Tauro è una grande opportunità non solo per la Calabria ma per l’Italia, tuttavia oggi è sfruttato poco meno del 20% del suo potenziale, anch’esso fortemente penalizzato dall’assenza di intermodalità e dall’obsolescenza delle infrastrutture ferroviarie e stradali. Al porto serve una ferrovia in modo che il container possa arrivare velocemente nelle altre città italiane e in Europa; una ferrovia che porti le merci sotto la pancia dell’aereo all’aeroporto di Lamezia. La Piana di Sibari, uno dei due polmoni produttivi regionali zona di eccellenza per la produzione di agrumi, drupacee e kiwi, fatica a raggiungere i mercati esteri. La Calabria risente della totale mancanza di dialogo tra i servizi su gomma e quelli ferroviari, questi ultimi tediati dall’ulteriore carenza di collegamenti con le altre regioni.

La Società Aeroportuale Calabrese SACAL ha ottenuto da ENAC l’appalto per Lamezia Terme (2009-2049) e successivamente quello per la gestione degli Aeroporti S. Anna di Crotone e Tito Minniti di Reggio Calabria (2017 – 2047). Tuttavia, ad oggi dei tre scali aeroportuali solo quello di Lamezia è attivo verso Italia ed Europa. L’aeroporto di Crotone sembra perfino in chiusura e non ha alcun collegamento con la città; mentre chi abita nelle zone di pertinenza dello scalo di Reggio Calabria è spesso costretto a prendere il volo su Lamezia per mancanza di orari o costi troppo elevati. Eppure, in poco più di un’ora di volo si potrebbero risparmiare due giorni di viaggio su strada. Le strutture potrebbero accogliere sale di attesa e biglietterie, spazi culturali, negozi, ristoranti. Anche quella di Crotone ha la metratura per essere riqualificata e diventare una moderna cittadella di arte e legalità, in cui l’imprenditoria sana potrebbe investire per portare lavoro e vitalità. Il QPO ben si presterebbe per diventare un punto di riferimento nel panorama europeo, agevolato da tram, metro, filobus, intercity o navette. Affrontare il problema della valorizzazione ottimale dei territori meridionali è indispensabile per l’Italia tutta. È evidente che migliorare la situazione delle regioni del sud porta benefici e lustro alla nazione. Le politiche di assistenzialismo alimentano il vagabondaggio e il lavoro nero, non la produzione. Serve, dunque, realizzare concretamente infrastrutture utili ed efficienti. La Regione necessita dell’alta velocità, per connettere paesi e città. Ogni mattina partono dalla Calabria decine di autobus per il Nord: se ci fossero aerei e treni ad alta velocità certamente la gente non andrebbe a mettersi come sardine, schiacciata dalle 16 alle 21 ore per arrivare a Milano o Torino. Viaggi perfino più lunghi delle transoceaniche, 8.30 ore per Milano-New York. Servono le infrastrutture, dalla Salerno-Reggio Calabria, Reggio Calabria-Taranto, la ss106 a quattro corsie tutta intera e non a spezzatino. E se da una parte si va a rilento e si assiste al tracollo di servizi ed infrastrutture,  la ‘ndrangheta, invece, corre. Corre veloce, per fare affari e denaro.

Dove tutto sembra in abbandono, resta solo un ingorgo di bus e di valigie, di giovani e di anziani, di donne e uomini. Sono centinaia le autolinee che come il caronte dantesco fanno i viaggi della speranza. Il prezzo, per una persona per una tratta semplice, senza comfort nè pranzo, fino alla Lombardia o al Veneto varia dai 40 ai 180 euro circa. Il trasporto su gomma a lunga percorrenza da e per il sud conta oltre 400 mila passeggeri all’anno, un giro di affari stimato in diversi milioni di euro.

Un groviglio di pullman e autobus per tentare di spostarsi fuori e dentro la regione. Quello delle autolinee calabresi è un mondo complesso in cui il servizio pubblico si intreccia con gli interessi di imprenditori autorizzati dal Ministero dei Trasporti, a volte interessati più ai finanziamenti pubblici che agli utenti. Il costo del solo trasporto locale in Calabria è di 120 milioni di euro l’anno per una percorrenza di 50 milioni di chilometri. Fondi che il governo paga, attraverso la Regione, ai sei consorzi che gestiscono il servizio, costituiti per l’80% da aziende private e il 20% dal pubblico. Le compagnie private, così convenzionate, ricevono i contributi pubblici proprio come la linea ferroviaria regionale. Un bocconcino che fa gola anche alle consorterie mafiose. Negli scorsi anni, avevano fatto discutere le autorizzazioni del Ministero dei Trasporti concesse ad aziende di autolinee calabresi i cui proprietari erano stati considerati dalla Prefettura di Reggio “soggetti controindicati” in un’altra società edile interdetta per mafia, e denunciati anche per associazione a delinquere finalizzata alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Nel 2015 e 2016 in Calabria le tensioni nel business dei trasporti si sono acuite, tanto che le risultanze investigative avevano raccolto un omicidio verosimilmente ad esso collegato, bombe davanti ad alcune sedi di pullman, danni di milioni di euro. Frequenti gli incendi di decine di bus, l’ultimo in ordine di tempo nel maggio di quest’anno. Le operazioni dell’arma continuano a disvelare numerose frodi, giro di cd cartiere e riciclaggio, utilizzo dei pullman come corrieri di droga e armi (operazione Buslijnen; operazione new generation; operazione Ppb Bergamo). Tuttavia, con gli scarsi collegamenti aerei e ferroviari, ad oggi l’unica alternativa possibile sembrano proprio gli autobus. Chi offre il servizio più veloce a prezzi concorrenziali si guadagna di diritto il podio e la benedizione del popolo.

Nel 2017 Ferrovie dello Stato italiane entrano nel mercato dei collegamenti su gomma della lunga percorrenza e tentano la stoccata alla tedesca Flixbus, creando Busitalia Fast, servizio nato dall’unione di Busitalia e Simet, con l’acquisizione da parte di Ferrovie del 51% delle quote di Simet, storica azienda calabrese. L’accordo tra FS e Simet, però, salta velocemente e nel 2019 si scioglie la società. Busitalia di FS mantiene le sue tratte in Campania, Toscana, Umbria e Veneto; mentre Simet ha dovuto ridimensionare il personale.

Tra febbraio e luglio 2022, un’inchiesta della Dda di Milano travolge Rete Ferrovie Italiane (partecipata 100% da FS) e concretizza 41 arresti. Gli indagati devono rispondere di associazione a delinquere di stampo mafioso e presunte infiltrazioni mafiose della cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto a danno di RFI. Tra i 34 capi di imputazione, sono anche ipotizzati reati tributari, bancarotta, riciclaggio, autoriciclaggio e per alcuni l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, per “solidi ed attuali collegamenti con le storiche famiglie di ‘ndrangheta di Crotone alle quali sono ‘legati’ da indissolubili vincoli di parentela ed alle quali assicurano il costante e continuo approvvigionamento dei mezzi di sussistenza soprattutto allorché i loro capi trascorrono in detenzione carceraria”. Secondo le indagini, RFI, che è parte offesa, avrebbe commissionato lavori di manutenzione a grandi aziende, le quali a loro volta avrebbero fatto ricorso ad altre società riconducibili alle ndrine. Ci sarebbe stato “un piano di spartizione in aree di competenza dell’intero territorio nazionale” da parte di alcune imprese, anche colossi del settore, che prendevano gli appalti da RFI. Nelle imputazioni dei pm, infatti, si parla di “gruppi imprenditoriali” che “gestiscono in regime di sostanziale monopolio l’aggiudicazione delle commesse per i lavori di armamento e manutenzione della rete ferroviaria italiana direttamente da R.F.I. spa, a mezzo delle loro società (appaltanti). “Ventura ha tutta la Calabria, Morelli ha tutta la Campania ed Esposito ha tutta la Sicilia, Rossi ha tutto il Nord Italia”. Sono stati sequestrati anche oltre 6,5 milioni di euro per reati tributari. I rapporti tra le società che si aggiudicavano gli appalti e quelle riferibili alle cosche, che prendevano i subappalti, venivano schermati, secondo l’accusa, attraverso contratti di fornitura di manodopera specializzata, cd “distacco di personale” previsto dalla Legge Biagi, per eludere la normativa antimafia e le limitazioni in materia di subappalto previste per le imprese aggiudicatarie di commesse pubbliche. Le società riconducibili al clan si facevano pagare dalle vincitrici degli appalti per il “distacco” dei loro lavoratori in quelle imprese, che intanto iscrivevano quei costi e ne traevano benefici fiscali. Coi soldi incassati, invece, pagavano gli operai che lavoravano nei cantieri, oltre a “fatture per operazioni inesistenti ricevute da altre società”. Si creavano così fondi restituiti in nero alle società appaltatrici. Dalle risultanze investigative emerge che i grandi colossi avevano rapporti “con le numerosissime società riconducibili ai clan ma fittiziamente intestate a prestanome”. Secondo gli inquirenti, agivano nella “consapevolezza di avere come interlocutori famiglie legate ad un contesto criminale di ‘ndrangheta e che avevano subito pregiudizi penali, accettando di sottoscrivere gli accordi contrattuali con società per lo più intestate a prestanomi e addirittura istigandone la costituzione di nuove.” Arrestati alcuni imprenditori considerati “contigui alla ‘ndrangheta, hanno dimostrato di sapersi inserire in modo spregiudicato in contesti imprenditoriali di rilevante spessore, riuscendo in breve tempo a diventare partner delle maggiori imprese operanti nel settore”. Tra gli indagati anche i dirigenti delle società di lavori appaltati, tra cui una candidata alla presidenza della Calabria e un vertice di un’azienda operante in Svizzera e nel Nord Europa.

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