Bullismo.
I giovani devono fare i conti con l’arroganza e la cattiveria non solo fisica ma anche psicologica di altri coetanei. Intervista a Teresa Manes, presidente dell’Associazione Italiana Prevenzione Bullismo.
di: Desirè Sara Serventi
Troppo spesso si sente parlare di atti di bullismo non solo fisici ma anche psicologici, dove dei ragazzi devono fare i conti con l’arroganza e la cattiveria di altri coetanei. I social sembra siano diventati il luogo perfetto dove è facile attaccare le vittime con un semplice click. Lo sa bene Teresa Manes che come Presidente dell’Associazione Italiana Prevenzione Bullismo, si occupa di educazione nelle scuole verso i casi di bullismo e cyberbullismo. La battaglia di Teresa Munes è una battaglia segnata da un avvenimento che la riguarda direttamente. Il figlio Andrea infatti fu una delle vittime di bullismo e cyberbullismo da parte dei compagni di scuola. Un lavaggio mal riuscito di un pantalone si è trasformato in un incubo per il ragazzo. Andrea era un ragazzo originale che andava oltre le marche e le apparenze, e quel pantalone diventato di colore rosa fu per lui segno di originalità, ma purtroppo non tutti hanno la capacità di guardare oltre, e quando hanno la possibilità di deridere qualcuno per la loro unicità diventano delle persone con una crudeltà unica. Andrea non fu capace di ribellarsi ai suoi compagni e decise quindi di uccidersi. Dietro al ragazzo dai pantaloni rosa, c’era un adolescente come tanti altri, che voleva essere accettato, a cui piacevano le ragazze, e che voleva far parte di un gruppo. La sua colpa è stata quella di dare troppa importanza a chi non merita.
Il suicidio di Andrea è stato per voi privo di alcuna motivazione?
Inizialmente quando cercavamo di giustificare la sua decisione di farla finita, io e Tiziano il mio ex marito e padre dei miei figli, ci siamo ritrovati ancora una volta distanti. Lui convinto che Andrea avesse legato quella follia alla nostra separazione ed io invece che fosse dipeso da una pena d’amore. Andrea si era invaghito senza essere corrisposto di una compagna del liceo che frequentava.
Queste erano solo supposizioni?
Esatto ma poi abbiamo saputo dell’esistenza di una pagina Facebook in cui nostro figlio appariva travestito da donna, perché avevano usato come immagine del profilo una foto in cui Andrea indossava per carnevale una parrucca.
Vuoi essere più chiara?
Gli era stato dato un nome fittizio, Qndria Iperracatina e l’etichettatura il Ragazzo dai pantaloni rosa.
Come avete reagito?
Al dolore si aggiunse altro dolore, la vicenda stava prendendo una connotazione inquietante.
Cioè?
Nostro figlio era rimasto vittima di persecuzioni a sfondo omofobico, e la pagina venne chiusa su disposizione dell’Oscad per il contenuto offensivo, anche se non fu requisita. La pagina non ha costituito oggetto di una richiesta di rogatoria internazionale, nonostante noi della famiglia attraverso il nostro legale ne abbiamo avanzato formale richiesta, anche se la pagina come risulta dagli atti è stata costruita a scuola in un momento di autogestione. Fu asserito che fu mio figlio a volerla.
Fu così?
Il nostro perito informatico ha dichiarato che Andrea non ha mai eseguito un accesso né da casa né dal suo PC.
Il problema è sorto tutto dal pantalone rosa?
Il pantalone rosa io lo vedo come simbolo delle apparenze, si trattava di un jeans che avevo comprato senza alcuna marca importante, perché mio figlio andava oltre questo, ho cresciuto miei figli con altri valori, lui non guardava le marche. La storia del pantalone rosa è dovuto a un lavaggio mal riuscito. Io che mi preoccupavo perché gli avevo rovinato il pantalone nuovo, e invece lui vedeva il tutto come una cosa originale. Questa era l’originalità di mio figlio, invece la sua originalità è stata la sua condanna.
Vuoi raccontare della vicenda giudiziaria?
La vicenda giudiziaria che si era aperta per iniziativa della Procura, con l’apertura di un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio, è proseguita poi per una serie di denunce presentate da noi della famiglia, sia verso il Tribunale Ordinario per le responsabilità ascrivibili alla scuola e al corpo docent, che quello dei minori con l’individuazione di un gruppetto specifico.
Quindi?
Il PM dell’Ordinario negò l’esistenza del bullismo e dell’omofobia e dispose per l’archiviazione, asserendo che il gesto di mio figlio fosse dipeso dalla pena d’amore, e il PM dei minori dispose lo stesso per relationem.
Voi cosa avete fatto?
Ci siamo attivati prontamente con le opposizioni nei tempi e secondo le modalità dovute. Il gip dell’ordinario dispose l’archiviazione ma aggiunge qualcosina in più. Non negò l’esistenza della pagina, del banco di scuola che costituì oggetto di sequestro giudiziario, e che recava la scritta intagliata Andrea Frocio, e neanche le avvilenti espressioni di dileggio, ricavate dalle chat private del profilo originale, ma affermò che la scuola non poteva sapere, e che la morte poteva essere dipesa anche dalla separazione dei genitori.
Si deve ancora pronunciare il tribunale dei minori?
Sì anche se con molte probabilità non avremmo una vittoria giudiziaria, anche se si parla di chat che sono amorfe per costituzione, la pagina diffamante non è stata requisita, e altri elementi che conducono a un reato.
Perché parli di reato?
C’è un’alterazione dell’identità personale, l’attribuzione di un diverso orientamento sessuale, e lo sfottò il Ragazzo dai pantaloni rosa.
Hai trasformato il tuo dolore in una battaglia sociale?
Sì per una conquista di civiltà, perché dietro tante condotte c’è anche tanta immaturità e inconsapevolezza. Bisogna che il fenomeno venga compreso per tentare di arginarlo.
Cosa si deve fare?
Riformulare la visione della condizione vittimogena e tener conto del suo ruolo partecipato e attivo. Nelle vittime di bullismo c’è una scarsa considerazione di questo aspetto. Eppure un ragazzo in fase pre o adolescenziale difficilmente sa stare da solo e pur di far parte del gruppo subisce.
A livello istituzionale?
Seguo e condivido le iniziative istituzionali che stanno maturando grazie all’impegno soprattutto della Senatrice Elena Ferrara, prima firmataria del DDL 1261 in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo, approvato di recente al Senato.
Vuoi parlarne?
Questo ddl investe nella prevenzione, educazione e formazione anche del corpo docente. Prevede delle procedure per il rilascio di un marchio di qualità ai fornitori e ai produttori dei servizi di comunicazione. Si fa leva sull’educazione digitale dei bambini e dei ragazzi per formare ed elevare loro il senso di responsabilizzazione. Inoltre viene prevista una procedura di ammonimento.
Quindi?
In caso di atti di cyberbullismo commessi da un minorenne ultra quattordicenne nei confronti di altro minorenne, in applicazione della procedura già disposta per i casi di stalking, il questore può ammonire l’autore dei comportamenti affinché non li ponga più in essere. Si tratta di un avvertimento verbale teso a evitare al minore coinvolto un processo penale prima ancora che sia proposta querela o presentata denuncia. Poi l’articolo 2 del disegno di legge istituisce una specifica procedura accelerata, dinanzi al garante per la protezione dei dati personali, che consente ai genitori di un minore vittima di un atto di cyberbullismo, che pur non integri gli estremi di uno specifico reato, di ottenere una tutela celere da parte dell’autorità, attraverso l’adozione di provvedimenti inibitori che garantiscano la dignità del minore rispetto a qualsiasi forma di violazione della sua persona, commessa in rete.
Tu sei il presidente dell’Associazione Italiana Prevenzione Bullismo, di cosa vi occupate?
L’Aipreb è un’associazione nata dalla determinazione di gente che col bullismo, in modo più o meno diretto ha avuto un rapporto a brutto muso. Anche se siamo una realtà ancora in fasce abbiamo la determinazione per raggiungere gli obbietti prefissi e dettati in statuto, scaricabile dal sito www.aipreb.it Ci proponiamo con una progettualità di prevenzione ed educazione nelle scuole. Partecipiamo in collaborazione con altre associazioni anche a una serie di dibattiti su tutto il territorio nazionale.
Perché hai voluto raccontare la storia di Andrea scrivendo un libro?
Perché ci sono storie che vanno raccontate, il libro si intitola Andrea oltre il pantalone rosa. La storia di mio figlio è raccontata agli studenti e ai genitori nell’ambito di una campagna educativa itinerante sul cyberbullismo.
E’ fondamentale che i ragazzi si ribellino a questa forma di violenza raccontando quello che sta loro capitando, perché solo così si può contrastare questo fenomeno. Chi assiste ad atti di bullismo o di cyberbullismo deve denunciare i fatti per non diventare complici.