Brasile e Qatar, che costo per i mondiali?
Pochi giorni fa è stata sfiorata la tragedia in Brasile, in Qatar muoiono giornalmente numerosi lavoratori. Storie di ordinaria schiavitù all’ombra del pallone
È di pochi giorni fa la notizia del crollo di parte del tetto dello Stadio Itaquerao, a San Paolo, che tra circa 200 giorni dovrà ospitare la partita inaugurale del mondiale. Fortunatamente non è stata una strage ma a morire sono stati solamente, si fa per dire, in tre. All’orario del crollo, infatti, gran parte degli operai era in pausa pranzo.
Il Brasile ospiterà a giugno i mondiali di calcio, l’evento, dopo le olimpiadi, più ricco, più costoso, con più spettatori e con più risalto al mondo. Proprio l’accoppiata mondiali 2014 e olimpiade 2016 ha creato pesanti polemiche nel Paese sudamericano. Se è vero che i due eventi saranno un grande volano per l’economia brasiliana, l’aumento del costo della vita, le precarie condizioni dei lavoratori, l’aumento della corruzione, la speculazione e gli stravolgimenti operati nel territorio dalle infrastrutture in costruzione ha creato non solo polemiche ma vere e proprie proteste, anche violente, come quelle che hanno caratterizzato la Confederation Cup del 2013, “prova generale” del mondiale seguente.
Ancora più grave quanto sta accadendo in Qatar. Il piccolo Paese del Golfo Persico è stato scelto per ospitare la coppa del mondo di calcio del 2022. L’assegnazione aveva causato già all’annuncio svariate polemiche, era una chiara “marchetta” ai numerosi sceicchi che da qualche anno pompano, dopandolo, soldi a profusione nel pallone. Assenza totale di tradizione e passione calcistica, scarsissime possibilità di sfruttare gli stadi dopo l’evento, clima infernale che obbligherà o a giocare in inverno (con conseguente rivoluzione nei calendari delle federazioni di tutto il mondo) oppure a costruire costosissimi impianti indoor o con climatizzazione: non occorre un fine analista per capire che Qatar 2022 ha nel business l’unica spiegazione. Peccato che questo non stia uccidendo solo lo sport ma anche i lavoratori addetti alla costruzione degli impianti.
I rapporti di numerose ONG, tra cui Amnesty, e le inchieste di numerosi giornali, a partite da The Guardian, hanno dimostrato come i lavoratori impiegati siano letteralmente schiavizzati tanto da soprannominare la rassegna qatariota come “i mondiali degli schiavi”. I morti, in soli due anni, sarebbero stati più di 700 con la previsione di un incremento, fino a 500 l’anno, se non si troverà una soluzione.
I lavoratori sono per lo più stranieri: nepalesi, indiani e bengalesi al 90%. Lavorano almeno 10 ore al giorno con una temperatura esterna di circa 40°, pagati 200 euro al mese (ma spesso non ricevono salario) e ospitati in baracche o capannoni in cui sono costretti a convivere in decine in spazi ridotti. A queste condizioni di “ordinario” sfruttamento, la legislazione del Qatar aggiunge uno strumento in più: la possibilità di tenere quasi in prigionia i lavoratori. Infatti le norme dell’emirato prevedono che i lavoratori immigrati per poter lasciare il paese debbano ottenere il consenso del datore di lavoro, un exit permit. Inutile dire che per questi lavoratori/schiavi il permesso non arriverà mai.
Negli ultimi mesi si è levata più di una voce di protesta per quanto appena descritto e alcuni hanno paventato anche la possibilità di riassegnare i mondiali ad un’altra nazione. In realtà pare improbabile che questo accade, gli interessi economici in gioco sono altissimi. A conferma di ciò lo stesso presidente FIFA, Josep Blatter, ha ricordato che i Paesi, soprattutto europei, che ora si scandalizzano per le condizioni dei lavoratori in Qatar sono gli stessi ad aver fatto le maggiori pressioni per l’assegnazione dei mondiali nel ricco emirato, avendo grandi interessi economici nell’area.
Nella migliore delle ipotesi le proteste porteranno solo ad un miglioramento di facciata. Magari miglioreranno le baracche in cui i lavoratori sono stipati o aumenteranno da 200 a 250 euro gli stipendi ma difficilmente ci sarà un cambiamento sostanziale. Anche perché, è bene ricordarlo, i cantieri per i mondiali non sono un’eccezione, questa è la normale prassi per quei lavoratori che costruiscono le mega strutture volute dai ricchissimi sceicchi per i ricchi ospiti occidentali. Tutto continuerà così, del resto, anche solo per limitaci ai mondiali…show must go on.