Pubblicato: mer, 12 Feb , 2014

Borsellino Quater, Massimo Ciancimino non risponde

Il figlio dell’ex sindaco di Palermo resta in silenzio davanti alle domande dei pm di Caltanissetta

 

Il-processo-Stato-Mafia-va-in-ferie_h_partbHa preferito avvalersi della facoltà di non rispondere a quasi tutte le domande che gli hanno posto i pm Nico Gozzo, Stefano Luciani e Gabriele Paci. È stata questa la strategia difensiva messa in atto ieri da Massimo Ciancimino, ascoltato come testimone assistito nel corso dell’udienza del processo Borsellino Quater, volto ad accertare la verità sulla strage di via D’Amelio e che vede imputati, davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta, i boss Vittorio Tutino e Salvatore Madonia e i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Calogero Pulci e Francesco Andriotta.

Al termine di una lunga schermaglia giuridica tra la Procura nissena e il legale di parte civile di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, la prima ha deciso di ascoltare il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo come, appunto, testimone assistito e non come imputato di procedimento connesso, impedendogli così di potersi avvalere della generica facoltà di non rispondere. A Massimo Ciancimino è stata quindi riconosciuta la possibilità di tacere alle domande dei magistrati, qualora ritenesse che le risposte avrebbero potuto in qualche modo ricondurre ad una sua responsabilità rispetto ai capi di imputazione a lui contestati nel procedimento in corso davanti alla Procura di Palermo, dove è imputato e allo stesso tempo teste. Ad inizio udienza, l’avvocato Repici aveva prodotto una memoria in cui richiedeva la revoca dell’ordinanza con la quale erano stati qualificati come imputati di reati connessi e collegati i due ufficiali dell’Arma dei carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno. Entrambi, infatti, come lo stesso Ciancimino jr, sono imputati nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia. Nella precedente udienza del 4 febbraio, sia Mori che De Donno si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Avvalendosi della facoltà riconosciutagli dalla Corte presieduta da Antonio Balsamo, Massimo Ciancimimo ha scelto di non rispondere, fatta eccezione per alcune domande postegli dall’avvocato Repici, relative ai suoi rapporti con il padre Vito e ad eventuali elementi appresi direttamente tra la fine degli anni Ottanta e il 1992. Non ha quindi risposto alle domande dei magistrati potenzialmente collegate alla Trattativa, così come a quelle legate ai suoi rapporti con gli ex ufficiali del Ros Mori e De Donno, ai rapporti tra il padre e il boss Bernardo Provenzano e, ancora, tra il padre e l’ex comandante Antonio Subranni, e infine ai contatti con personaggi dei Servizi. Il teste si è anche rifiutato di riconoscere il famoso papello, ovvero l’elenco con le richieste che il boss Totò Riina avrebbe fatto avere al padre di Ciancimino e tramite lui al Ros dell’Arma, per fare cessare le stragi. Sempre rispondendo a Repici, ha invece ricordato di quella volta in cui vide l’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada (poi condannato in via definitiva a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa) uscire dalla stessa abitazione romana dove poco tempo dopo suo padre incontrò il cosiddetto “signor Franco” che, secondo il testimone, avrebbe retto le fila della trattativa tra pezzi deviati dello Stato e Cosa nostra, avviata tramite proprio Vito Ciancimino.

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