Pubblicato: dom, 22 Feb , 2015

Arlo l’armeno.

Un genocidio che non viene nemmeno ricordato.

– di Sauro Testi –

Andrea aveva fatto pochi anni prima il servizio civile presso la casa di riposo del mio comune.

Io ero stato il primo obiettore ad entrare in quella struttura 10 anni prima e avevo conosciuto tutti quelli arrivati dopo di me. Lui era uno di quelli con cui era nata un’amicizia bella, quasi tutte le sere veniva a casa mia e i miei lo avevano un po’ adottato.

Da quasi due anni non lo sentivo e la sua telefonata arrivò del tutto inaspettata.

Stava passando in zona per accompagnare un ospite al festival jazz di Perugia con cui collaborava, e dopo due ore era a cena a casa mia, come spesso era accaduto durante il suo servizio civile.

Arrivò nell’aia con un furgone azzurro carico di strumenti e salì le scale velocemente per fiondarsi in cucina ad abbracciare mia madre. Lo seguiva un uomo dai capelli neri e la faccia scolpita ma sorridente.

Ci sedemmo a tavola mentre mio padre iniziava a tenere banco parlando di tutto; in tavola arrivò un’insalatiera di pasta al sugo di coniglio fumante, come Andrea adorava.

Fu allora che ci accorgemmo che il nostro ospite non aveva aperto bocca.

“Lui è Arlo,” era il percussionista di Frank Zappa, “e domani suona a Perugia” Andrea si era finalmente ricordato del suo compagno di viaggio.

Arlo non parlava italiano e la nostra traduzione avrebbe cercato di reggere l’urto dell’ondata di parole che il mio babbo avrebbe rovesciato, come sempre, sulla cena. Nessuno aveva dato particolare importanza al nome di Frank Zappa, quell’uomo era un amico di un amico e questo bastava per una bella accoglienza nel luogo più sacro per la mia vecchia famiglia : la tavola.

La cena volò via tra imponenti fette di prosciutto rigorosamente casalingo e abbondanti bicchieri di vino del nonno della Valdichiana e mentre Andrea rispondeva al solito interrogatorio materno su quello che stava facendoin giro per il mondo, mio padre snocciolava tutti i numeri e le storie di una tipica saga di famiglia contadina, toscana e comunista.

Come sempre si arrivò la racconto del passaggio del fronte e delle rappresaglie nazi-fasciste, della strage di San Pancrazio e Civitella in Valdichiana.

Per noi era oramai quasi scontato che le chiacchiere di una serata a veglia, intorno ad una buona tavola apparecchiata, avrebbero fatto sosta obbligata a quella data che accompagnava tutti i ricordi della storia della nostra terra nell’ultimo secolo, il 29 giugno 1944, il giorno delle stragi.

Era un racconto leggero , come si ricordano cose oramai lontane, come a voler dire che qui , tempo fa , gli uomini e le donne avevano incontrato i mostri che l’anima umana può improvvisamente liberare.

Arlo aveva parlato pochissimo, assaporò lentamente le ultime due dita di vino risso del suo bicchiere e comincio a farlo, chiaramente tradotto da Andrea che aveva poteva così liberarsi dalla marcatura di mia madre.

armenia-map(1)“Io sono armeno ma la mia famiglia vive negli stati uniti da 70 anni. Sono sicuro che nessuno di voi conosce la storia del mio popolo perché nessuno sa cosa è successo nella mia terra nel 1915.

Ancora oggi mi chiedo come possa il mondo aver fatto finta di non sapere e non vedere, di essersi dimenticato o semplicemente aver deciso di credere alle menzogne della Turchia ed alla negazione di quello che è veramente accaduto. Nell’aprile 1915 I Giovani Turchi iniziarono quella che sarebbe diventata una deportazione di massa con migliaia di arresti di intellettuali e politici armeni a Costantinopoli e cominciò la deportazione di centinaia di migliaia di persone verso l’Armenia antica. I più vennero trucidati durante il viaggio con esecuzioni di massa e violenze di ogni tipo . La Turchia, appoggiata dalla Germania con cui era alleata per arginare l’espansione della Russia a nord-est, stava compiendo la prima deportazione di massa e sterminio di un popolo come sarebbe successo con gli ebrei per mano dei nazisti.

Non mi importa parlarvi delle ragioni storiche, economiche o politiche che hanno portato a tanto, sarebbe come cercare una logica nella violenza cieca e bestiale che a volte si scatena tra gli uomini, anche oggi, in tante parti del mondo o qui nel 1944.

La nostra non è la storia di una guerra o di stragi solamente, io vi parlo del genocidio di 1 milione e mezzo di armeni , della pulizia etnica e di persecuzioni terribili su uomini donne e bambini.

Una delle grandi vergogne dell’umanità di cui nessuno si vergogna perché è stata cancellata dalla vostra storia.

Anche oggi non c’è governo o paese che si sogna semplicemente di chiedere conto alla Turchia di quei fatti vergognosi per paura della sua sempre violenta reazione, anche se solamente politica o economica .

Noi non siamo esistiti!”

Arlo così come aveva iniziato a parlare terminò il suo racconto tornando a sorseggiare un discreto rosso delle nostre vigne.

Ci aveva lasciato in uno strano silenzio, come se ognuno avesse avuto il bisogno di ripetersi quello che ci aveva raccontato quell’uomo dalla faccia dura e gentile, con occhi scurissimi che portava con sé una storia troppo grande e terribile da essere ascoltata e capita così all’improvviso.

Ma dove era l’Armenia, chi erano gli armeni e veramente era successo quello che ci aveva detto senza che nessuno ne avesse mai parlato o almeno nessuno di noi sapesse?

Il silenzio durò pochissimo perché dal terrazzo arrivarono le note della suonatina che tutte le serie il nonno , contadino e musicista, ci regalava con il suo banjo-mandolino.

Oramai cieco e con le dita segnate da tante cicatrici e irrigidite dall’artrosi si arrampicava sulle corde del suo banjo con grande fatica ma sempre con la stessa passione di quando con la sua orchestrina liberava note in tutta la Valdambra.

Arlo ascoltò un istante quella musica e forse capì quello che ancora non gli avevamo detto. Scese al furgone, prese alcuni suoi strumenti e senza pronunciare parola andò a sedersi accanto al nonno Corrado, e cominciò a suonare.

E così iniziò una lunga notte di musica e grappa, rigorosamente fatta in casa.

Ripensando a quella sera ancora oggi mi domando perché il giorno dopo non sono subito andato a cercare notizie su quella tragedia, per anni le parole di Arlo sono rimaste in un cassetto poi , scrivendo dei racconti ambientati a Parigi mi è tornata alla mente la tragedia degli armeni, senza un particolare motivo, come se fosse stata la cosa più normale che mi potesse venire in mente. Erano passati quasi 20 anni da quell’incontro quando ho avuto la forza o forse la voglia di scoprire cosa c’era dietro il racconto di Arlo.

Io da allora non parlo mai troppo di quello che ho letto e ascoltato ma ogni volta che ne ho occasione ricordo a tutti coloro che lo vogliono sapere che esiste una pagina orribile della storia del nostro novecento che pochissimo hanno letto ma che per chi vuole basta andarla a cercare.

Dopo tanti anni ho un’immagine che mi emoziona ancora, quella di Corrado, vecchio contadino musicista e Arlo, il percussionista di Frank Zappa, che suonano sotto una notte di stelle e di musica, loro che sicuramente parlavano la stessa lingua.

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