Pubblicato: lun, 23 Giu , 2014

“Apocalisse” a Palermo: decapitati mandamenti Resuttana e San Lorenzo

Oltre 90 arresti. Tra le accuse: associazione mafiosa, danneggiamento ed estorsione

602-408-20140623_083148_5415E095È in corso dalle prime ore del mattino a Palermo l’operazione “Apocalisse”, che vede impegnati carabinieri, polizia e Guardia di Finanza e che ha portato all’arresto di 95 persone appartenenti ai mandamenti mafiosi di San Lorenzo e Resuttana, con l’accusa di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento e altri reati. Sequestrati, inoltre, beni per diversi milioni di euro. Le indagini, condotte da un pool di magistrati composto dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise, Gaetano Paci, Annamaria Picozzi e Dario Scaletta, hanno permesso di ricostruire il complesso organigramma dei due storici mandamenti alla periferia occidentale della città, individuando capi e gregari che, negli ultimi anni, hanno dato vita ad una capillare e soffocante pressione estorsiva ai danni di imprese edili e attività commerciali del territorio, esercitando così di fatto un diffuso condizionamento illecito dell’economia locale. «Un’operazione molto importante – ha commentato il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo – perché incide su un mandamento da sempre strategico per Cosa nostra e un tempo regno incontrastato dei Lo Piccolo e da sempre al centro delle attività di controllo di Cosa nostra».

I nomi dei commercianti vittime del giro di estorsioni venivano inseriti in un libro mastro chiamato “Papello”. Dalle sale bingo alle pescherie, dai negozi di abbigliamento alle discoteche: tutti erano costretti a pagare il pizzo, la cui somma variava in base al tipo di attività esercitata e che doveva essere versata nelle casse di Cosa nostra ogni mese, più qualcun’altra da pagare una tantum. Ma c’era anche chi, ai contanti, preferiva farsi dare abiti e scarpe firmate per poi “regalarli” ai boss. È il pizzo chiesto, per esempio, al titolare di un distributore di carburante. Finora sono state accertate 34 estorsioni e solo un operatore economico ha denunciato, rifiutandosi di pagare. Si tratta del titolare della società che sta realizzando la più grande multisala della Sicilia, nell’ex fabbrica della Coca Cola di Palermo.

Secondo quanto emerso dalle indagini coordinate dalla Dda di Palermo, a capo del mandamento Tommaso Natale-Resuttana c’era Girolamo Biondino, fratello di Salvatore, l’autista di Totò Riina arrestato insieme a lui il 15 gennaio 1993 e detenuto al 41 bis. L’uomo, scarcerato da poco, doveva ancora scontare un residuo di pena di due anni con la misura di prevenzione della “casa lavoro” al Nord, ma certe “abitudini” sono dure a morire e così non aveva perso tempo, tornando quasi subito alla guida del clan per imporre il pizzo a tappeto nel mandamento. Per evitare di finire nuovamente in prigione, Biondino faceva il pensionato, girava solo in autobus ed evitava di farsi vedere in giro con altri uomini d’onore. Ignorava però di essere intercettato dagli agenti della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo, mentre distribuiva ordini e così per lui sono scattate di nuovo le manette.

Tra gli indagati con l’accusa di corruzione elettorale aggravata con la Finanza, c’è anche Pietro Franzetti, imprenditore antiracket candidatosi al Consiglio comunale di Palermo nel 2012, presentatosi nelle liste dell’Udc senza però poi essere eletto. Per lui la Procura aveva chiesto l’arresto, ma il Gip l’ha negata prevedendo il solo divieto di dimora a Palermo. Secondo l’accusa avrebbe comprato 1.500 voti dal clan mafioso dell’Acquasanta, pagando quasi 10mila euro. Contro di lui, un’intercettazione che lo mostra mentre si accorda con Francesco Graziano, figlio di Vincenzo, storico boss di Cosa nostra. Soltanto qualche giorno fa, Franzetti aveva organizzato a Montecitorio un flashmob per chiedere la revoca del vitalizio ai politici condannati per mafia e per altri reati gravi.

Un’altra intercettazione avrebbe inoltre permesso di individuare, a più di un secolo di distanza, il nome dell’assassino di Joe Petrosino, il poliziotto italo-americano ucciso in un agguato mafioso a Palermo il 12 marzo 1909. Il 29enne Domenico Palazzotto, senza sapere di essere ascoltato dalle cimici degli investigatori, si sarebbe infatti vantato con gli amici di essere discendente di Paolo Palazzotto: l’uomo che per primo fu arrestato con l’accusa di essere il sicario inviato da Cascio Ferro, il boss di Bisacquino affiliato alla “Mano nera”, per uccidere Petrosino di fronte all’Hotel de France, in piazza Marina. Paolo Palazzotto, così come Cascio Ferro, vennero però assolti per insufficienza di prove. L’erede del killer del superpoliziotto, secondo gli inquirenti, era arrivato al vertice della famiglia da qualche mese, dopo l’arresto del cugino Gregorio, titolare di una ditta di traslochi all’Arenella. Quest’ultimo, dal carcere, aveva aperto un profilo Facebook sul quale condivideva immagini e link dove attaccava i pentiti e rivendicava amnistia e indulto.

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